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Tra speranzoso e incredulo Giustin quel libro afferra: Le carte eran profetiche Che a tutti error fan guerra, Che svelan ne' primordii D'umanit

Allora il principe di Lavandall, munito di pieni poteri dal principe di Tebe ed autorizzato dal conte di Nesselrode, si presenterebbe a lui e negozierebbe la vendita delle carte tanto sospirate. Questo piano infernale doveva avere uno scioglimento imprevisto. Ma s'insistè; e si raddoppiò anzi di accanimento.

74 Giovane e bella ella si fa con arte, si che molti ingannò come Ruggiero; ma l'annel venne a interpretar le carte che gi

Ma! prendiamo giustamente per esempio quel conte di Perceval, di cui parlavamo or ora. Supponghiamo che egli si sia trovato in presenza di un ordine del generale dei gesuiti che gli abbia detto: Bisogna ricuperare, ad ogni costo, le carte firmate dal Padre Buzelin, sotto il falso nome di marchese di Caboul: l'onore della Societ

Oh, che peccato! esclamò la signorina sinceramente. Di questi non so che farne!... Li ho trovati dalla mamma, cercando in mezzo ai suoi libri. Era solo il Monsieur de Camors che desideravo!... Che peccato! E distratta e mortificata, si pose a tagliuzzare le carte sbadatamente, con una stecca d'argento a cesello, che avrebbe potuto pagare, essa sola, tutti i debiti del Frascolini.

Pochi momenti dopo era un usciere di Giudicatura che veniva cercando il povero Vanardi, e gli rimetteva in mani proprie parecchi atti di citazione provocati dal venditore di carbone, dal pizzicagnolo, dal panattiere. Antonio guardò quelle carte, sbalordito, come se fossero una sua condanna di morte.

E ogni momento tirava fuori di sotto al lettuccio la scatola di mostarda senza coperchio, dove c'erano riposti i confetti che le avevano regalato in principio, e tutto ciò ch'essa aveva potuto raccattare giorno per giorno, spazzando le camere, e che pensava di portare a Menico «quando fosse ritornata al paese». Erano le scatolette vuote dei cerini, i rocchetti del cotone, le capocchie di vetro degli spilli rotti, i vasettini delle pomate, senza il turacciolo, e in fine un mazzo di carte vecchie, al quale non mancavano altro che il tre di denari e il fante di spade.

In mezzo alla tenda, seduto su di un tamburo, se ne stava il generale Hicks con alcune carte topografiche spiegate sulle ginocchia.

Bisogna dire che l'abate Teodoro non avesse perduta ogni speranza di sdebitarsi del sacro dovere assunto; giacchè, dopo ch'ebbe ripassate le carte, le quali non credemmo inutile di por sott'occhio al lettore, pigliò, con non so quale convulsiva agitazione, un fascetto di lettere ch'era entro lo stesso cassettino dello scrittojo donde levò prima il piego.

«Oh!», diss’ io lui, «non se’ tu Oderisi, l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’ arte ch’alluminar chiamata è in Parisi?». «Frate», diss’ elli, «più ridon le carte che pennelleggia Franco Bolognese; l’onore è tutto or suo, e mio in parte. Ben non sare’ io stato cortese mentre ch’io vissi, per lo gran disio de l’eccellenza ove mio core intese.