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Il terzo ricordo, fra quelli delle donne che egli aveva amate, era un ritratto, una fotografia grande, sbiadita, con una dedica i cui caratteri anche si erano scolorati. Rappresentava una donna di un ventotto anni, forse, dalla fisonomia capricciosa e seducente: certi grandi occhi con le ciglia molto lunghe: un nasino troppo piccolo: una bocca ridente: una massa di capelli bruni, ondulati. Era vestita in un costume bizzarro, da ballo mascherato, cioè trifoglio: aveva una gonnella un po' corta, di raso bianco, su cui era applicato un gran trifoglio di velluto nero: sul bustino di raso bianco, sul petto, era ricamato un trifoglio nero, di perline: e la gran collana di perle era rialzata, al collo, da un trifoglio di brillanti. Anche sui bei capelli ondulati, ella aveva un diadema di gemme e una specie di cappellino o di cappellone di velluto nero, a tre foglie, che ella portava come una cornice, come un'aureola. La dedica diceva: Charles, je t'adore Mimì. Il curioso signore, appunto, si chiamava Carlo, ed ella Mimì, un nome vero o falso, chi sa! Falsa senza altro, era la frase della dedica, giacchè Carlo, infatti, aveva adorato Mimì, ma Mimì non aveva adorato lui, amato, niente. Così, senza una ragione al mondo! Ella aveva avuto molti altri amanti, ad alcuni aveva voluto del bene, non era una creatura arida: ma a Carlo, pur dandosi, ella non aveva concesso nulla. Si era data per gentilezza, per compassione, per distrazione, per ozio, perchè, anche, era inutile negarsi, anche perchè Carlo era un amante generoso. Ma amore, Mimì, per Carlo, mai! Oh egli lo sapeva bene, a malgrado le pietose e scaltre menzogne di Mimì, che egli gittava invano la sua passione, la sua salute, il suo tempo, il suo denaro: la donna si dava, ma egli non era amato. Tante volte, glielo diceva, a Mimì: le chiedeva, perchè essa non potesse volergli bene, un poco volergli bene d'amore, naturalmente. Ella si rattristava, perchè era buonina: rispondeva, senza aver il coraggio di mentire: non so. Un sacrifizio costante, una fedelt

Quando una sessione, una discussione era finita, mentre i suoi colleghi si alzavano in fretta, e apparivano sodisfatti di andarsene, egli diventava cupo, attristato; l'idea di dover tornare a casa, delle accoglienze, che gli avrebbe fatto la rozza e irosa Megera, il suo carnefice in gonnella di rigatino, lo atterriva. Era lungo lungo, secco, calvo, con un naso sperticato, di larghe narici.

Adele Ruzzani era dunque una fanciulla capricciosa. Ma, lo ripeto, non faceva fuggire nessuno. Quante cose non si permettono ad una coppia di milioni, quando vestono gonnella? Si può dir corna di quei milioni, desiderare di vederli spartiti, quegli spicchi di settantacinque centesimi, che toccherebbero ad ognuno, secondo i calcoli più diligenti, se la divisione fosse fatta con equit

Questi non si vogliono partire del campo della bactaglia per tornare a casa per la gonnella, cioè per la gonnella propria, che egli lassò, del piacere piú a le creature e temere piú loro che me Creatore suo; anco con dilecto sta nella bactaglia, pieno e inebriato del sangue di Cristo crocifixo.

Un piccolo tarbusch coprivale il capo, lasciando sfuggire una nerissima chioma, cosparsa di monetuccie d'oro; un giubbettino azzurro di seta chiudevale armonicamente il turgido seno, e una gonnella a frange d'oro scendevale fino alle ginocchia cariche di aurei cerchietti che graziosamente tintinnavano. El-Mactud fece sei o sette passi indietro fissando quell'ammirabile creatura.

Noi sorpassiamo dei piccoli plotoni di scozzesi in gonnella, rudi gambe e polpacci abbronzati e bitorzoluti. Marciano a passo ritmato più rapido del passo militare alla conquista dei piaceri facili. A frotte veloci meno ordinate, ufficiali e soldati grigioverdi. Stop. Entriamo nella graziosa villetta. Per ufficiali. Fumo, fumo, fumo.

Siamo dunque entrati nel salotto verde, e non ci ha neppur visti dal vano di un uscio socchiuso, o dal buco di una toppa, la vispa Cecchina, una cameriera che sa tutto, che vede tutto, vero ministro degli affari interni in gonnella di lana, a scacchi rossi e neri, e grembiale di seta.

Regina aveva preparata una gita all'alpe del Giosuè per fare una sorpresa ad Amedeo, che vi doveva accompagnare alcuni signori di Cadenabbia. Una zia del giovine barcaiolo, che aveva lassù un pascolo e alcune capanne, avrebbe dato alloggio e allestito un letto sulle foglie di faggio: e poichè la luna viaggiava verso il suo pieno, c'era da godere una notte incantevole nella pace di quei monti. Flora, che cercava volentieri le distrazioni che aiutano a riflettere, accettò di accompagnarla. Per rendere l'improvvisata più gustosa, Regina propose di andare tutte e due vestite come le pastorelle «bergamine» che vi tengono le mandrie nei mesi di estate, cioè con una gonnella corta di traliccio turchino, colla bustina di velluto nero e una pezzuola in testa di cotone rosso, allacciata sulla nuca colle cocche sporgenti. Flora aveva gi

Eccomi, dissemi la cameriera ritornando con una gonnella di seta celeste pallido, adorna di merletti bianchi, nella quale aveva infilate le braccia. Serafina si voltò, incrociò le mani sul petto, e pian pianino con la massima accuratezza, onde non s'avesse a guastare i capelli, vi messe il capo dentro. Ah!... piano.... ma dove l'avete la testa! Un gangheretto s'era appiccato a' capelli.

Quando vide la sua persona riflessa sul terreno, nella gonnella corta, colle due cocche sporgenti del suo zendado di mandriana, invidiò l'ombra sua e stette a contemplare quel che avrebbe potuto essere, se Dio l'avesse fatta nascere in una di quelle capanne brune che toccano coi tetti la terra. Che giova alzarsi se mancano le ali al volo? umile creatura, nella terra è la tua felicit