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Il mio male è d’una stagione che non conosci. Giana. Tu stessa non sai quel che intendi quel che vuoi. Mortella. Voglio andarmene. Giana. Che pazzia! Mortella. Non resto qui. Giana. Ma almeno aspetta. Vediamo. Mortella. Vedere, vedere, è proprio quel che non voglio. Giana. Ma perché? Mortella.

M’imagino d’aver veduto in uno specchio quelle altre due mani, fuori delle maniche rimboccate, lavarsi in una bacinella col medesimo gesto, così agevoli, così bianche. Giana. Mi sgomenti. Troppo sei strana. Mortella. È un sogno che ho fatto. Giana. Più ti guardo, meno ti scopro. Mortella. Eppure son meno buia di te. Giana. Ma forse meno distante da me ch’io non sia da me stessa. Mortella.

Giana. Ah, so la specie. Mortella. Sembrava alzato sopra ogni cosa e capace d’ogni cosa. Giana. Anche bella? Mortella. Forse. Conduceva i sogni. Giana. Te ne dava? Mortella. Sapeva disarmare la forza e addormentarla. Giana. Con mani magnetiche? Mortella. Con mani di donna. Giana. Belle? Mortella. Mani d’avvelenatrice. Giana. Ah! Una lieve pausa. Come sono? Mortella.

Giana. Ma che hai? T’è entrata la febbre? Vaneggi? Mortella. Ah, no, non mi toccare. Ma nascondimi quei fiori, nascondimi quelle foglie... Giana. Sei pazza. Comincio a credere anch’io che sei veramente pazza, Mortella. Mortella. Ebbene, io ti dico una cosa incredibile. Non sono ancóra pazza. Guardami.

Non ho capito bene. Bandino eludeva le domande, balbettava. Però non mi par dubbio che sia venuto anche il tuo patrigno, giacché il punto da vincere per tua madre era d’esser ricevuta qui con suo marito. Mortella. E credi ch’egli sia entrato in casa? Giana.

Ecco che la madre appare all’uscio, pallidissima. Giana la vede prima degli altri e si alza facendo qualche passo verso di lei in atto di accoglienza. Giana. Signora... Bandino sobbalza e si volge. Bandino. Oh, mamma! Egli le va incontro affettuosamente. Vieni, vieni. Di’: ti senti un poco meglio?

Se il pregio d’una vita recisa potesse misurarsi al peso, ah, certo le nostre spalle si sarebbero incurvate, tutte le nostre ossa avrebbero ceduto sotto il carico. Giana. Così non si parla se non di un eroe. Una commozione virile trema nella voce del superstite. Gherardo Ismera. E non era un eroe?

Da quello che sta per varcare la soglia? Giana. Chi sa! Bisogna di continuo offrirsi al destino. Mortella. Il mio destino io lo serro contro me per soffocarlo. Giana. Non bastano due braccia. Mortella. Ma un cuore basta. Giana. Per sanguinare. Mortella. Posso lasciarlo sanguinare lungo tempo, prima che ne coli l’ultima goccia. Giana. Sei malata di primavera. Conosco questo male. Mortella.

Se mai, dopo l’acquata, non m’aspetta, ahimé, che una risciacquata della genitrice. Me ne rivólo al nido. Addio, addio. Leggera e celere, traversa il portichetto, scende i gradini, volge il capo grazioso. Mortella. Torna presto, Gentucca. La Rondine. Addio. Le due cognate la seguono con gli occhi pei viottoli di bossolo. Giana. A rivederci.

Giana. I capelli? Gherardo Ismera. I pensieri. Giana. Avete le mani abili? Gherardo Ismera. Non senza timidezza, signora. Giana. Forse per ciò le facevate male. Gherardo Ismera.