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Aggiornato: 20 giugno 2025


ARTEMONA. Altra felicitá non vorrei al mondo ch'esserti appresso. Ma poi, quando io fosse, non vorresti vedermi. LÚCIA. Tu ti inganni. Fossi quel che volessi, non potrei se non esserti amica. ARTEMONA. Oh! Questo, fallo al tuo Crisaulo, ch'omai sai pur certo quanto che t'ami; e l'avrai fatto a me, che t'amo pur di cuor.

I suoi nomi erano Giovanna Desiderata Felicita. Non posso tenere a mente tutti quei nomi, disse il nonno. Chiamatelo Tom. Ma nonno, è una bambina! disse Edith. Lo so bene. Me l'hai gi

CRICCA. Bisogna menar i piedi, non le mani. PANDOLFO. Mi sento venir meno. CRICCA. Vi perdete nella felicitá. PANDOLFO. Pensando che ho da incontrarmi con Artemisia io moro. CRICCA. Che fareste se aveste ad affrontarvi con un toro, se avendo ad affrontarvi con una vacca morite? PANDOLFO. Oimè, l'astrologo ha saputo trovare il felice punto per transformare il vignarolo!

Il che se fare non può, ov'è la sua onnipotenza? ove è la sua infinita vertú? ove è la sua perfettissima beatitudine e felicitá? Nel vero, io non so come egli possa cosí agevolmente a uno sasso, non pur a uno animale come l'asino è, dare la vita e l'intelletto, come liberalissimamente a gli uomini dare gli piace.

VIGNAROLO solo. VIGNAROLO. La nostra vita è proprio come le fette del presciutto: un poco di magro e un poco di grasso, un poco di piacere e un poco di dispiacere. Quando stava in villa, mi pensava che la vita de' gentiluomini tutta fusse felicitá; ma or ho provato che ancor eglino hanno i loro cancheri e cacasangui.

E, se la sorte mia buona vorrá ch'io giunga, come spero, a perfetto fine di questo mio amore, non che felice, ma con la istessa felicitá non cangiarei el stato e 'l grado mio. Solo un pensiero è quello che m'afflige: ch'ho inteso, aimè! che quel porco, poltrone, ignorantaccio di quel pedante suo vicino la vole per moglie e senza dote.

Panimbolo, la fortuna secondo il suo costume tutt'oggi ha scherzato con noi valendosi della varietá de' casi; e all'ultimo Iddio ha essauditi i nostri desiri. Rallegrati, ché la poco dinanzi infelice miseria mia or sia ridotta in tanta felicitá. PANIMBOLO. Stimo che di questo giorno vi ricorderete ogni giorno che viverete.

ERASTO. Ogni contento e felicitá che posso aver in questa vita è la tua presenza, anima mia! CINTIA. M'avete comandato per Cintio, vostro fidelissimo amico, che fusse venuta qui in finestra: ecco vi ubbedisco, perché la vostra bellezza è fatta padrona del cor mio, ogni vostro desiderio è fatto padron del mio. ERASTO. E quando io potrò compensarle cotanta cortesia?

ESSANDRO. Ho adesso quell'istesso animo, che ho avuto per lo passato, di fidarmi nella tua fede; mi parrebbe aver compita felicitá, se non ne facesse a te parte. PANURGO. Dite, ché forse ci troveremo rimedio. ESSANDRO. Gerasto... PANURGO. Che cosa Gerasto? ESSANDRO.... ha pur... PANURGO. Che cosa ave? ESSANDRO.... dato... PANURGO. Bastonate a voi, forse? ESSANDRO. Volesselo Iddio!

Ahi, fortuna, quando pensava che fussero finite le pene e cominciar la felicitá, allor ne son piú lontano che mai! DON FLAMINIO. Don Ignazio, dove sète? Conoscete voi questa sottana gialla che portò quel giorno? non è questo l'anello che l'avete mandato a donare, le catene e gli altri vezzi di donne? DON IGNAZIO. Li conosco e mi rincresce conoscerli.

Parola Del Giorno

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