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Allora Elisenda gli si pose d'accosto, chinò la guancia verso le sue labbra: una lunga perla pendeva dall'orecchio della fanciulla; Estebano baciò quella perla, poi disse: Sei bella, o mia regina! Essa rispose: Sei bello, mio re! E l'amore incominciò le sue note.

Elisenda finì le sue preci prima di Estebano, e poiché vide ch'esso continuava devoto, si pose a contemplarlo. Com'era bello il profilo del principe, col mento converso sul petto e sulle mani giunte, in atto d'alta mansuetudine! L'estasi scendeva gi

Spero che non lo correggerete mai. Dopo queste parole il castello echeggiò alle risate dei due giocondi cugini. Indi Estebano ricominciò: E Don Sancio, il vostro buon nonno, come morì?

Elisenda rispondeva: Manibus date lilia plenis. Poi Estebano: Fulcite me floribus; poi, chinando la fronte davanti ad Elisenda: Salve, Regina, mormorò soavemente, e le baciò il manto come ad una madonna. Indi ambidue si posero a cantare con voce alta e fiera l'inno delle nozze reali Te Deum laudamus, te, Domine, confitemur. Le loro voci unisone salivano e scendevano sul liturgico salmo.

La grave melodia faceva risonar l'oratorio; i turiboli appesi, allo scoppio delle forti note, oscillavano, come per accompagnarle colle loro danze. Così, sempre cantando, Elisenda aveva messo in dito ad Estebano un anello d'onice, e, sempre cantando, Estebano s'era levato e avea steso il pugno nell'ombra dietro l'altare e l'avea ritratto armato da una immensa spada.

Il suo lucignolo allungato e curvo portava in cima un carboncello che aveva la forma d'una viola stillante una pioggia di faville incandescenti. Estebano ed Elisenda scoprivano in quella rugiada di foco l'immagine d'un nuovo paradiso. Fissavano ammaliati il cero sorridendo alla luce, muti, pallidi.

Nello stesso modo che sovra il disco lunare l'astronomo contempla il riverbero diurno d'un altro emisfero, i due giovanetti contemplavano nella luna il raggio riflesso del loro timido amore. Elisenda ruppe prima il silenzio dicendo: Principe, volete seguirmi nell'oratorio? e s'incamminò verso una gradinata fosca; Estebano la seguì. Salirono nel buio l'uno dietro l'altra senza più dir parola.

Il silenzio era così grave che opprimeva l'orecchio. A un tratto Estebano esclamò quasi supplichevolmente: Oh! principessa, è lunga la vostra orazione! Elisenda rispose: Ho finito. E si guardarono negli occhi, stupefatti di non ispaventarsi. Lo sguardo d'Estebano penetrava nelle pupille di Elisenda profondo, lucido, sicuro, come una lama nella sua guaina. Chi c'è nel castello? chies'egli.

Estebano! ripigliava la fanciulla tremante avviticchiandosi al collo del giovanetto, mentr'ei frugava cogli occhi quelle iscrizioni oscure. Guardami, guardami! prima che il cero si spenga, prima che la notte infinita ci copra, guardami! Dammi un bacio, e che il tuo bacio mi dia l'alito di una sposa; poi soffierò sul cero prima che si spenga. Ei la guardò; un fremito febbrile li avvolgeva.

Ciò che nasce nel cuore non può escir che dal cuore! feriscimi un poco qui, Estebano mio, al costato sinistro... tanto che con qualche goccia di sangue possa sprigionarsi anche qualche pensiero. Le labbra umane non sanno la via di queste cose profonde. Allora Estebano soggiungeva: No; nel linguaggio che mi hanno insegnato non esiste il nome di ciò ch'io sento per te. Elisenda chiedeva: M'ami?