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Nello stesso modo che sovra il disco lunare l'astronomo contempla il riverbero diurno d'un altro emisfero, i due giovanetti contemplavano nella luna il raggio riflesso del loro timido amore. Elisenda ruppe prima il silenzio dicendo: Principe, volete seguirmi nell'oratorio? e s'incamminò verso una gradinata fosca; Estebano la seguì. Salirono nel buio l'uno dietro l'altra senza più dir parola.

Povero nonno! morì di vecchiaia, la morte del leone. Egli presentiva l'ora della sua fine. Tre prima di andarsene in paradiso vergò il suo testamento, quello che leggeste ieri a Castiglia; piegò, suggellò e v'inviò egli stesso lo scritto. Il giorno dopo, che fu ieri, escì dal castello coll'archibugio ed uccise tutti i corvi e tutti gli avvoltoi di queste gole; poi si riposò. Oggi, prima dell'alba, mi prese per mano e mi condusse sulla cornice d'un burrone, da dove quel forte vegliardo soleva ogni contemplare il crepuscolo. , sull'orlo dell'abisso, appoggiando la schiena contro la roccia nuda, parlò a me, che lo guardavo dal ponte, così: "Principessa Elisenda de Sang-Real, figlia di colui che nacque dal figlio di tutti i re di Leone, sappiate che oggi, quando il sole comparir

Ma non vedi, Estebano, com'è tutto chiuso e non senti com'è tutto odoroso anche questo asilo di pace? Ciò che dicevano quei due fanciulli erano parole e parevano canti. Elisenda ripigliava: Ho dei sogni così gonfi e delle chimere così turbolente nel cuore che, per farnele uscire, mi bisognerebbe infrangerlo.

Giunti al culmine della torre, Elisenda spinse una porta ferrata e grave che ricadde dietro i passi d'Estebano. Eccoli nell'oratorio. Il cero santo arde per la morte del nonno ed illumina solo il religioso recinto.

Ricaddero col capo sul cuscino della corona. L'afa dell'oratorio, l'amplesso violento in cui erano assorti, li soffocavano. Resta qui, diceva Elisenda con voce fievole. Non posso alzarmi; la mia fronte suda piombo bollente e il mio seno stilla rugiada di manna.

Il suo lucignolo allungato e curvo portava in cima un carboncello che aveva la forma d'una viola stillante una pioggia di faville incandescenti. Estebano ed Elisenda scoprivano in quella rugiada di foco l'immagine d'un nuovo paradiso. Fissavano ammaliati il cero sorridendo alla luce, muti, pallidi.

Elisenda sclamò: Guai a me se si spegne! Il giovanetto s'accorse allora che tutto intorno all'estremo del cero girava una grossa lista di pergamena. La distaccò per prolungare così d'un minuto la vita alla fiamma. La pergamena era piena di simboli sacri, di formule cattoliche che s'insertavano bizzarramente a molti caratteri orientali.

Ciò che nasce nel cuore non può escir che dal cuore! feriscimi un poco qui, Estebano mio, al costato sinistro... tanto che con qualche goccia di sangue possa sprigionarsi anche qualche pensiero. Le labbra umane non sanno la via di queste cose profonde. Allora Estebano soggiungeva: No; nel linguaggio che mi hanno insegnato non esiste il nome di ciò ch'io sento per te. Elisenda chiedeva: M'ami?

Un lampo dell'anima gli rivelò la scrittura. Lesse: Quand'io morrò, morranno i troni di Spagna. La fiamma vacillò, Estebano rabbrividì. C'erano ancora due versi che bisognava leggere... gli occhi del giovanetto s'offuscavano... gli pareva vedere Elisenda stesa a piè dell'altare, immobile e bianca, e avvolta in un fumo.

Penetrando in quel ricinto chiuso e opulento come una tomba, ove tante reliquie reali e papali sono agglomerate, il pensiero porge al pensiero queste parole: Angusto et Augusto. Estebano ed Elisenda, a capo chino davanti l'altare, pregavano; sulle loro labbra vagava un alito sottile, un ronzio dolce come di brezza o di zanzara.