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Aggiornato: 4 maggio 2025
Quasi fossero gli attori spaventosi d’un liturgico dramma da Gran Guignol, erano lasciati soli e campeggiavano in mezzo alla folla, sinistramente percossi dal chiarore delle torce, neri di tabe, monchi delle membra, con piaghe senza nome, con viluppi di fasce onde gemeva la nera putredine, meno simili a creature che a cadaveri dissepolti.
Elisenda rispondeva: Manibus date lilia plenis. Poi Estebano: Fulcite me floribus; poi, chinando la fronte davanti ad Elisenda: Salve, Regina, mormorò soavemente, e le baciò il manto come ad una madonna. Indi ambidue si posero a cantare con voce alta e fiera l'inno delle nozze reali Te Deum laudamus, te, Domine, confitemur. Le loro voci unisone salivano e scendevano sul liturgico salmo.
Tu eri la fredda rinunzia, il raggio di sole che diventa ombra; il cimbalo ed il sonaglio della danza nell’orchestra del canto liturgico; eri la ghirlanda sfogliata, il mazzo reciso, la semenza fuor dal granaio, il rosaio spezzato dal vento.
I ceri ardevano, l’organo scintillante alzava il suo canto liturgico sul fervore delle turbe inginocchiate; l’altare, circonfuso di fumo, tramandava dagli ori de’ suoi tabernacoli quel senso dell’eterno e dell’immanente che il sogno di tutte le stirpi custodì nelle arche millenarie.
Parola Del Giorno
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