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ciascun di quei candori in su` si stese con la sua cima, si` che l'alto affetto ch'elli avieno a Maria mi fu palese. Indi rimaser li` nel mio cospetto, 'Regina celi' cantando si` dolce, che mai da me non si parti` 'l diletto. Oh quanta e` l'uberta` che si soffolce in quelle arche ricchissime che fuoro a seminar qua giu` buone bobolce!

ciascun di quei candori in su` si stese con la sua cima, si` che l'alto affetto ch'elli avieno a Maria mi fu palese. Indi rimaser li` nel mio cospetto, 'Regina celi' cantando si` dolce, che mai da me non si parti` 'l diletto. Oh quanta e` l'uberta` che si soffolce in quelle arche ricchissime che fuoro a seminar qua giu` buone bobolce!

Tutti li lor coperchi eran sospesi, e fuor n’uscivan duri lamenti, che ben parean di miseri e d’offesi. E io: «Maestro, quai son quelle genti che, seppellite dentro da quell’ arche, si fan sentir coi sospiri dolenti?». E quelli a me: «Qui son li eresïarche con lor seguaci, d’ogne setta, e molto più che non credi son le tombe carche.

I ceri ardevano, l’organo scintillante alzava il suo canto liturgico sul fervore delle turbe inginocchiate; l’altare, circonfuso di fumo, tramandava dagli ori de’ suoi tabernacoli quel senso dell’eterno e dell’immanente che il sogno di tutte le stirpi custodì nelle arche millenarie.

E dire che siamo appena al mezzogiorno, e dalle cinque ferrovie giungono ad ogni tratto nuovi convogli e innumerevoli aerostati, immense arche natanti negli spazi del cielo, si librano a trecento metri di altezza sovra il porto Corsico, attendendo il segnale della calata. I tardi arrivati, disperando di trovare alloggio, si accalcano nelle vie, o nelle sale da rinfresco.

Ben avverso alle Grazie e al Bello in ira Vive, Italia, colui che, su l'ingorde Arche seduto, in tuon lugubre intuona L'epicedio de l'Arte! Ignaro, al certo, Fra la plebe ei si aggira, e mai non pose L'orma su queste etrusche inclite rive, Dove tanto su l'Arno arde e sfavilla Glorïoso splendor, qual mai non ebbe Ne le trascorse et

Tutti li lor coperchi eran sospesi, e fuor n’uscivan duri lamenti, che ben parean di miseri e d’offesi. E io: «Maestro, quai son quelle genti che, seppellite dentro da quell’ arche, si fan sentir coi sospiri dolenti?». E quelli a me: «Qui son li eresïarche con lor seguaci, d’ogne setta, e molto più che non credi son le tombe carche.