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Un altro, che forata avea la gola e tronco ’l naso infin sotto le ciglia, e non avea mai ch’una orecchia sola, ristato a riguardar per maraviglia con li altri, innanzi a li altri aprì la canna, ch’era di fuor d’ogne parte vermiglia, e disse: «O tu cui colpa non condanna e cu’ io vidi su in terra latina, se troppa simiglianza non m’inganna,

non poté suo valor fare impresso in tutto l’universo, che ’l suo verbo non rimanesse in infinito eccesso. E ciò fa certo che ’l primo superbo, che fu la somma d’ogne creatura, per non aspettar lume, cadde acerbo; e quinci appar ch’ogne minor natura è corto recettacolo a quel bene che non ha fine e con misura.

non poté suo valor fare impresso in tutto l’universo, che ’l suo verbo non rimanesse in infinito eccesso. E ciò fa certo che ’l primo superbo, che fu la somma d’ogne creatura, per non aspettar lume, cadde acerbo; e quinci appar ch’ogne minor natura è corto recettacolo a quel bene che non ha fine e con misura.

così, quasi di valle andando a monte con li occhi, vidi parte ne lo stremo vincer di lume tutta l’altra fronte. E come quivi ove s’aspetta il temo che mal guidò Fetonte, più s’infiamma, e quinci e quindi il lume si fa scemo, così quella pacifica oriafiamma nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte per igual modo allentava la fiamma;

Quel che par membruto e che s’accorda, cantando, con colui dal maschio naso, d’ogne valor portò cinta la corda; e se re dopo lui fosse rimaso lo giovanetto che retro a lui siede, ben andava il valor di vaso in vaso, che non si puote dir de l’altre rede; Iacomo e Federigo hanno i reami; del retaggio miglior nessun possiede.

Poscia vidi avventarsi ne la cuna del trïunfal veiculo una volpe che d’ogne pasto buon parea digiuna; ma, riprendendo lei di laide colpe, la donna mia la volse in tanta futa quanto sofferser l’ossa sanza polpe. Poscia per indi ond’ era pria venuta, l’aguglia vidi scender giù ne l’arca del carro e lasciar lei di pennuta;

Caccianli i ciel per non esser men belli, lo profondo inferno li riceve, ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli». E io: «Maestro, che è tanto greve a lor che lamentar li fa forte?». Rispuose: «Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa, che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.

Come rimane splendido e sereno l’emisperio de l’aere, quando soffia Borea da quella guancia ond’ è più leno, per che si purga e risolve la roffia che pria turbava, che ’l ciel ne ride con le bellezze d’ogne sua paroffia; così fec’ïo, poi che mi provide la donna mia del suo risponder chiaro, e come stella in cielo il ver si vide.

Io cominciai: «Poeta che mi guidi, guarda la mia virtù s’ell’ è possente, prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. Tu dici che di Silvïo il parente, corruttibile ancora, ad immortale secolo andò, e fu sensibilmente. Però, se l’avversario d’ogne male cortese i fu, pensando l’alto effetto ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale

Ma distendi oggimai in qua la mano; aprimi li occhi». E io non gliel’ apersi; e cortesia fu lui esser villano. Ahi Genovesi, uomini diversi d’ogne costume e pien d’ogne magagna, perché non siete voi del mondo spersi? Ché col peggiore spirto di Romagna trovai di voi un tal, che per sua opra in anima in Cocito gi