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Aggiornato: 18 giugno 2025
S'alzò da sedere e si curvò in un profondo inchino. Buon giorno: disse il banchiere senza neppure fare un saluto col capo: quindi cessando subito dal badare a Marone che se ne partiva, soggiunse parlando a Pannini: sedetevi costì, mio caro, che ho da farvi scrivere alcune lettere.
Fu il nostro poeta di mediocre statura, ed ebbe il volto lungo e il naso aquilino, le mascelle grandi, e il labbro di sotto proteso tanto, che alquanto quel di sopra avanzava; nelle spalle alquanto curvo, e gli occhi anzi grossi che piccoli, e il color bruno, e i capelli e la barba crespi e neri, e sempre malinconico e pensoso.
Era un luogo amato da sua figlia; egli che non respirava più che per quella sacra memoria si sentì subito invogliato ad entrarvi. Andava curvo, con l'occhio spento, la testa bassa. Sentiva in cuore una tristezza più forte della consueta. Spinse l'uscio ed entrò. Subito le sue superstiziose paure lo assalirono. Sebbene in pieno giorno tremava più che di notte nella sua stanza tetra.
Appassionato per gli svaghi sportivi, ma in modo speciale per l'ippica, possedeva una scuderia da corsa, la quale gli costava non soltanto molti quattrini ogni anno, ma cure infinite e tempo. A vederlo, lo si immaginava subito in tenuta da fantino, giubba nera su calzoni bianchi, la frusta sotto il braccio, le braccia tese, il corpo curvo come in agguato, nello sforzo supremo del galoppo finale.
Il povero prete si faceva curvo, piccino, piccino, sperando, quasi, lui così grosso, di potersi nascondere dietro alla miss, che camminava impettita, dura come fosse di legno.
Orsù inneggiamo Al dolcissimo licor, Nella botte soffochiamo Tutti i triboli del cor! Era Bastiano che lasciata l'osteria dopo d'aver alzato il gomito un po' più dell'ordinario ritornava a casa cogli occhi scintillanti e le ginocchia non troppo sicure. Si fermò in mezzo alla stanza colle gambe piegate, il corpo curvo e lo sguardo fisso al suolo. Pap
Era una giornata calda di settembre, e il sole dardeggiava; pure il duca tremava, curvo sotto l'ombrellino. Indossava un largo paltò chiaro, pesante, e aveva un grosso garofano all'occhiello.
Don Pietro gli fe' cenno di non affaticarsi; e intanto si curvò lui, si curvò tanto, che il suo orecchio venne a toccar quasi le labbra di Gino. Grazie! mormorò a quell'orecchio il ferito. Mio caro signor Gino! disse il vecchio prete, rattenendo a stento le lagrime. Mio valoroso amico! Vi porto i saluti di Aminta.
Però di un tratto le stette davanti una larva, che vestì intera la sembianza del suo fratello don Giacomo; la quale essendosi pianamente accostata al letto, le disse: «Su, levati, è l'ora». Al che avendo ella risposto interrogando: «dove abbiamo ad andare?» la larva si curvò, quasi volesse sussurrarglielo negli orecchi, e la testa con un profluvio di sangue le cascò giù dalle spalle rotolando sopra il lenzuolo.
Pompa l'aria come la bocca d'un corridore affannato. Ho voluto guardare in fondo. Per poco non scivolai nella strozza vorace. Mi sembrava di cuocere come un pane in un forno rovente. Certo mi hanno visto, poichè ho sentito fischiare le palle sulla testa. Kabango, resta curvo a terra! Ti colpiranno! appiattandosi con Bagamoio, con la faccia rivolta verso il fondo. Ti sbagli.
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