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Aggiornato: 24 maggio 2025


Alcuni momenti dopo il cardinal Bembo, era entrato nelle sale un altro personaggio, che pure impose qualche silenzio a quella romoreggiante assemblea. Era un giovine gentiluomo, di bello e grave aspetto, assai semplicemente vestito, il quale, dopo aver fatto i suoi complimenti al Bembo, e dette alcune gentili parole al Chigi, si recò presso al Palavicino che, tutto solo e sopra pensiero se ne stava nel vano di un fìnestrone, appoggiato il destro lato alla parete, e presolo per la mano, con atti di una cordialit

Il tenore di quella lettera era il seguente: "Non potendo, chi scrive, recarsi da Sua Eccellenza il duca vostro marito, e pensando sarebbe il medesimo rivolgersi all'Eccellenza Vostra; sappiate che da alcuni tristi furon prese le misure per assassinare il duca stanotte nell'ora che di solito esce di palazzo per recarsi dal Chigi; però fate ch'ei non esca."

Le sale del Chigi si andavano intanto affollando sempre più, e di minuto in minuto cresceva quel ronzio generato dai sommessi cicalecci delle persone che si univano a crocchi. Quel ronzio cessò un istante, e il Palavicino vide messer Chigi muovere incontro ad un cardinale di assai dignitoso aspetto. Era colui monsignor Pietro Bembo, che Manfredo inchinò per il primo quando gli passò innanzi, e andò maestosamente ad assidersi nel bel mezzo della sala. Non v'era certamente in Roma chi avesse più prolissa barba di lui, facesse più prolissi periodi. Il cancelliere Morone fu visto allora uscire da un crocchio affollato, e attraversando con que' suoi passi brevi e prestissimi, porsi a sedere accanto al Bembo, che gli si volse assai cortese, e gli strinse anche la mano. Il Morone, la sera innanzi, gli aveva lodato a cielo una sua orazione latina la quale, per verit

Un'ora prima erasi recato anch'esso nel palazzo Chigi per parlare alla Bentivoglio, ma dall'uomo di camera avendo udito ch'era con lei il marchese Palavicino, senza metter fuori il proprio nome, pieno di maraviglia, avea dovuto partirsi.

Ma se la mattina gli era ciò sembrato assai facile, quando si trovò in piazza, e vide il portone del palazzo, e guardò le finestre dell'appartamento dove sapeva trovarsi la Ginevra, e fu per entrare, non potè. Il desiderio trovava l'ostacolo nel suo eccesso medesimo. Perciò, incontratosi in un suo conoscente, gli si accompagnò per allora e, allontanatosi dal palazzo Chigi, se ne andò con esso lui vagando per la citt

Senza però lasciarsi smarrire, aveva pensato di attenderlo quando ne uscisse, e di accompagnarsi con lui. Al qual fine, messo gli occhi sul marchese Rucellai, che abitava rimpetto all'albergo del Chigi, e ch'egli conosceva benissimo, salì da colui a fargli visita, e dalla finestra stette a guardare aspettando che Manfredo si mostrasse.

La sera il Palavicino si recò nelle sale del palazzo di Agostino Chigi, il più ricco banchiere di Europa, il più splendido mecenate, dopo Leone, delle arti e delle lettere italiane, il più sontuoso signore di Roma che banchettava spesso i più superbi patrizj i quali non avevano a sdegno di recarsi da lui, e ogni sera apriva le immense e dorate sue sale al fiore de' cittadini romani e de' forestieri che a quel tempo vi rigurgitavano. Il Palavicino vi si recò, sperando innanzi tutto di rivedervi la duchessa Elena, vi si recò inoltre, come era suo costume, perchè in quelle serali conversazioni, ventilandosi le notizie correnti, egli ne faceva espressa raccolta pe' suoi fini, e dalla bocca stessa di Agostino Chigi, il quale avea corrispondenze commerciali con tutte le citt

Quando le prime voci annunziarono l'arrivo della moglie del signore di Perugia, egli non ci prestò nessuna fede sapendo che Leone non l'aveva ancor mandata a chiamare, e non potendo congetturare nessuna causa per la quale spontaneamente ella poteva esser partita di Perugia; perciò non è a dire quale stupore fosse il suo quando la sera prima, recandosi nelle solite sale di Agostino Chigi, seppe da lui come la signora di Perugia il dopo sarebbe venuta ad alloggiare nell'albergo in Piazza Farnese.

Del resto egli avea risoluto, e quando gli parve tempo uscì di fatto per recarsi al palazzo Chigi in Piazza Farnese.... per vedere, dopo tanto tempo, la Bentivoglio e parlarle!

Ciò per altro non dispiacque al Morone, il quale naturalmente aveva a temere che nella numerosa conversazione del Chigi entrandosi a parlare, com'era inevitabile, e del Baglione e della venuta della Ginevra moglie di lui, alla duchessa Elena potesse mai balenare il sospetto di ciò che, con ogni premura, le si doveva tener nascosto.

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