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LIVIA. Di' quanto vòi, che nol credo. Che , fraschetta, tristarello!... MALFATTO. , , domane! Aspettate pur. Sempre me mandano fuori e io prometto di servirli come meritano. Me nne voglio andar a spasso tutto oggi e non ce voglio tornare per un pezzo. E, se vole delli patroni da comandare, che se lli trovi. Guarda compagni de merda!

Andiamo insiemi a bevere un'ostaria alla foglietta de greco. CECA. Non posso, adesso. Recomandame al tuo mastro, sai? MALFATTO. Vòi ch'io li dica altro? CECA. Digli che se ne perda el seme d'un tristo corpo. MALFATTO. Basta. Gli dirò che tu voresti che te mettesse el seme in corpo. CECA. El malanno che Dio ti dia, bestia! MALFATTO. Te nne vai, eh? Voglio venire ancora io.

Questa cittá è Roma. So che tutti la cognoscete. E, perché questi recitanti han ditto a questi musici che sonnino, io me nne andarò. E voi state cheti. CURZIO amante, RUFINO servo. CURZIO. Ell'è pur vero el proverbio che i despiaceri e i piaceri non sogliano mai venir soli.

MALFATTO. Te nne vai, eh? Odi, di grazia; ascolta un'altra volta. TRAPPOLINO. Che vòi, prosontuoso? LUZIO. Ché non li gitti qualche pitale nel capo, si lo hai? E levatello dinanzi. MALFATTO. Eh! non far, de grazia, fratello: vòi? TRAPPOLINO. Son contento. Ma dimme: chi adimandi? MALFATTO. Adimando che vorria parlare di portante a lui. TRAPPOLINO. Chi diavolo sei tu? MALFATTO. So' quello.

RUFINO. Eimè, che non ne farete altro! per ciò che, se nne avessivo voglia, lo farestivo senza aspettare che vi uscissino questi danari delle mani, che sono perduti per voi. E non so che vi conoschiate piú in costei ch'in vostra moglie; ché, per mia , val piú un'ogna del piede suo che non tutta lei insieme. CURZIO. Tu non la vedi come la vedo io: però parli cosí.

La comedia è nova... Ecco ch'io sento giá sollevati i murmuratori che non possono star piú cheti. Diavolo, crepagli! Che avete? che vi manca? di che borbottate? Perché ho detto «nova», eh? Che volévivo forsi ch'io vi dicessi «vecchia»? Dio me nne guardi ch'io presenti alle Signorie Vostre cose che vi facessino stomacare! O non sapete voi che le cose vecchie vengono in fastidio e sanno di vieto?

MALFATTO. Ché non pigliate quella spada e correteli dereto? ch'io ve cci voglio lassar andare. LUZIO. Se nne è andato. Non ce è, no, mastro. PRUDENZIO. Non si curi! So bene che non ospitará piú in casa nostra. MALFATTO. Meglio andamo a dormire, ché se cce passará questa stizza. PRUDENZIO. Non me romper la testa. MALFATTO. Che so io? Lo dico perché potrete cantare ancora domani a sera.

RUFINO. Son servitore de un suo parente el quale ora è in casa con esso lei e me ha mandato a chiamarvi; ché la madre e lui sono contenti che voi la sposiate stanotte per ogni modo. E, se voi sète savio, non vi ci pensarete per ciò che, se aspettate a domatina, ve nne potrestivo pentire; ché c'è altri che voi che la vole. PRUDENZIO. Non, per lo amor de Dio.

MALFATTO. E quando me nne renderete la sopposta? Missere, che volete? Ecco, vengo. Addio, addio. Olá! M'ha chiamato lo patrone. RITA. Va', che te rompi el collo! Guarda scemonito, che risponde sentendo pichiar la porta del vicino! Io vo' pur ripichiar tanto che qualcuno mi risponda. Tic, tic. CECA. Chi è la? RITA. Amici. Rengraziato sia Dio che voi me avite sentita! CECA. Perdonateci.

Fate che non si dia a nessuno, ché la voglio io. MALFATTO. Oh de sotto! Volete che tiri? REPETITORE. E va' in mal'ora, poltrone! MALFATTO. Son piú omo da bene che non simo noi. PRUDENZIO. Lèvate de . MALFATTO. Non me nne voglio levare. RUFINO. Orsú! Se volite venire, speditevi; se non, me nne voglio andare, ché l'è tardo. PRUDENZIO. Odite, omo da bene.