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sempre con l'arte sua la fara` trista; e se non fosse che 'n sul passo d'Arno rimane ancor di lui alcuna vista, que' cittadin che poi la rifondarno sovra 'l cener che d'Attila rimase, avrebber fatto lavorare indarno. Io fei gibbetto a me de le mie case>>. Inferno: Canto XIV Poi che la carita` del natio loco mi strinse, raunai le fronde sparte, e rende'le a colui, ch'era gia` fioco.

que’ cittadin che poi la rifondarno sovra ’l cener che d’Attila rimase, avrebber fatto lavorare indarno. Io fei gibetto a me de le mie case». Inferno · Canto XIV Poi che la carit

que’ cittadin che poi la rifondarno sovra ’l cener che d’Attila rimase, avrebber fatto lavorare indarno. Io fei gibetto a me de le mie case». Inferno · Canto XIV Poi che la carit

E perche' tu non creda ch'io t'inganni, odi s'i' fui, com'io ti dico, folle, gia` discendendo l'arco d'i miei anni. Eran li cittadin miei presso a Colle in campo giunti co' loro avversari, e io pregava Iddio di quel ch'e' volle. Rotti fuor quivi e volti ne li amari passi di fuga; e veggendo la caccia, letizia presi a tutte altre dispari,

Voi la fuor di ragion presa paura Ammorzate in altrui con nobil voci, Mentre le torri, e l'assalite mura Assegno in guardia a Cavalier feroci. Tale in sembianza a rimirar secura Folco parlava; i Rodïan veloci Poi ch'inchinato e reverito l'hanno, Van per scemare ai cittadin l'affanno.

Quivi il lasciammo, che piu` non ne narro; ma ne l'orecchie mi percosse un duolo, per ch'io avante l'occhio intento sbarro. Lo buon maestro disse: <<Omai, figliuolo, s'appressa la citta` c'ha nome Dite, coi gravi cittadin, col grande stuolo>>. E io: <<Maestro, gia` le sue meschite la` entro certe ne la valle cerno, vermiglie come se di foco uscite

I cocchieri bestemmiano Per le marmoree vie... E salutano agli angoli I Cristi e le Marie. Spesso la fame, squallida Larva, i tugurii invade... E cogli aranci i pargoli Giuocano nelle strade. Oggi si muta in ghiaccio L'umor delle fontane... E le camelie sbocciano Col sol della dimane. Ogni edificio è un'ampia Mole che in cielo ascende... E a vivere sul lastrico Il cittadin discende.

36 Se donavan gli antiqui una corona a chi salvasse a un cittadin la vita, or che degna mercede a voi si dona, salvando multitudine infinita? Ma se da invidia o da vilt

li cittadin de la citta` partita; s'alcun v'e` giusto; e dimmi la cagione per che l'ha tanta discordia assalita>>. E quelli a me: <<Dopo lunga tencione verranno al sangue, e la parte selvaggia caccera` l'altra con molta offensione. Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli, e che l'altra sormonti con la forza di tal che teste' piaggia.

Quell'anima gentil fu cosi` presta, sol per lo dolce suon de la sua terra, di fare al cittadin suo quivi festa; e ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode di quei ch'un muro e una fossa serra. Cerca, misera, intorno da le prode le tue marine, e poi ti guarda in seno, s'alcuna parte in te di pace gode.