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E le spiagge lunghissime e distanti, E le molli e le ripide pendici Mostravan con moltiplici sembianti I lor tugurii poveri e felici, E i campanili de' tempietti santi, Ove gi

I cocchieri bestemmiano Per le marmoree vie... E salutano agli angoli I Cristi e le Marie. Spesso la fame, squallida Larva, i tugurii invade... E cogli aranci i pargoli Giuocano nelle strade. Oggi si muta in ghiaccio L'umor delle fontane... E le camelie sbocciano Col sol della dimane. Ogni edificio è un'ampia Mole che in cielo ascende... E a vivere sul lastrico Il cittadin discende.

Arriverei fra tre giorni, rivedrei qualche amico, e lo troverei mutato, rovisterei dapertutto ove io sapessi celata qualche corda che potesse risvegliare un'armonia sopita nel mio cuore; visiterei come in mesto pelegrinaggio la mia vecchia casa una volta popolata da tante fantasie e i tugurii dei poverelli che erano un tempo gli amici della nonna e vedrei forse aprirsi quelle porte tarlate alla notizia del mio arrivo, e venirmi incontro qualche vecchierella che si ricorderebbe di avermi portato in braccio, per baciarmi sulla bocca.

Questa suprema noncuranza del presente e dell'avvenire della loro prole, era l'unico punto di somiglianza fra i due fratelli De Boni. Rotto appena il guinzaglio inevitabile della primissima infanzia, il piccolo Angelo, nerboruto e tracotante ragazzotto dai capelli fulvi e dallo sguardo battagliero, si era affrettato ad approfittarne. Era lo spirito folletto, il genio malefico delle mandre e dei pastori. A piedi nudi, a capo scoperto, lo scudiscio in mano, quando non era qualche cosa di peggio, facesse caldo, facesse freddo, sotto il sole, sotto la pioggia, piombava nei tugurii, rovesciava le pentole, gettava l'acqua della polenta sui focolali a stento attizzati, prendeva i vecchi per la barba, i marmocchi pel naso o le orecchie, attaccava dei razzi alla coda dei gatti, trovava un gusto matto ad affumicar le tane dei sorci, e, quando, stanco finalmente e trafelato se ne ritornava a casa sull'imbrunire, aveva sempre in tasca un cartoccio destinato al suo prediletto passatempo della sera. Quel cartoccio conteneva una dose di quella polvere di cui si riempie la striglia adoperata sul corpo dei cavalli e dei muli, egli ne faceva incetta mediante pochi quattrini, presso i ragazzi dei mulattieri dipendenti da suo padre, e, arrivato a casa, salìa pian pianino alla camera del fratello rachitico, alzava le coltri del suo letticciuolo, e con gioia satanica ne cospargeva copiosamente le lenzuola. Nulla d

Anche la sua mamma era di cattivo umore, si lagnava sempre dei suoi mali, borbottava perchè egli non le raccontava più nulla e Francesco non scriveva. Ed egli continuava la sua vita faticosa, sempre in giro sulla montagna, carico di pacchi e di lettere, che portavano ora la gioia ora la tristezza nei tugurii di quei montanari.

Si accedeva alle Cascine dalla così detta Porticciuola, oltre che dalla Porta al Prato. La Porticciuola era dove è oggi la Piazza Curtatone, allo sbocco di Via Borgognissanti, e di un'altra viuzza, parallela, che si chiamava Via Gora, famoso raddotto di donnaccole, di poverissime famiglie dell'infima plebe, che abitavano i luridi tugurii, i quali avevano dietro a le mura della citt

L'inaugurazione delle Corse dei Tori a Madrid è assai più importante d'un cangiamento di Ministero; un mese prima n'è sparso l'annunzio in tutta la Spagna; da Cadice a Barcellona, da Bilbao ad Almeria, nei palazzi dei Grandi e nei tugurii dei poveri, si parla degli artisti e delle razze dei tori; si istituiscono corse di piacere fra le provincie e la Capitale; chi è corto a quattrini, fa dei risparmi per potersi procurare un bel posto nel Circo il giorno solenne; i padri e le madri promettono ai figliuoli studiosi che ce li condurranno; gli amanti lo promettono alle belle; i giornali assicurano che si avr