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Come fu in ordine: Usciremo a piedi, disse al Manfredo, e il tuo cavallo te lo farò condurre a casa a mano. Voglio che ce ne andiamo in volta per qualche tempo, che la sera è bellissima, e non è un pericolo al mondo che le nostre cappe abbiano ad aver timore dei farsetti, sebbene stanotte, per una bizzarria dell'accidente, tocchi loro ad aver ragione; così dicendo uscì col Palavicino.

Erano sessanta lance; ogni cavaliere accompagnato da’ suoi fantaccini; tutti orrevolmente vestiti, i cavalieri d’acciaio, con cappe di lana, i fantaccini con succinti farsetti, anche essi di lana, e di colore amaranto, come le cappe dei cavalieri.

Sceso un gradino, gli seggono sopra sgabelli attorno quattro cardinali: da un lato Cinzio Passero cardinale di San Giorgio, nepote per parte della sorella Giulia, e Francesco Sforza cardinale di San Gregorio in Velatro; dall'altro Pietro Aldobrandino cardinale di San Niccolò alle Carceri, nepote per parte del fratello Pietro, e Cesare Baronio cardinale dei santi Nereo ed Achilleo, avvolti nei magnifici loro paludamenti di porpora: poi, in un ricinto più vasto, su stalli onorevoli, e cardinali, e vescovi, e di ogni maniera prelati, cospicui per cappe o pagonazze o vermiglie.

E io a loro: <<I' fui nato e cresciuto sovra 'l bel fiume d'Arno a la gran villa, e son col corpo ch'i' ho sempre avuto. Ma voi chi siete, a cui tanto distilla quant'i' veggio dolor giu` per le guance? e che pena e` in voi che si` sfavilla?>>. E l'un rispuose a me: <<Le cappe rance son di piombo si` grosse, che li pesi fan cosi` cigolar le lor bilance.

A terza dunque, come si è detto, tutti trovavansi pronti nella grande sala del capitolo. Le porte del monistero si chiusero, onde niuno di fuori venisse a sturbarli. Innanzi ad un grande tavolo di legno di quercia sedeva il cancelliero di papa Alessandro, con la testa scoverta, severo e sereno. Presso di lui stava un'urna per raccogliere le tessere, il codice longobardo, ed il calamaio con pergamene. A fianco di lui il principe Gisulfo, scoverto del pari, con una manopola di ferro innanzi. Negli stalli del capitolo ed in altri seggi appositamente quivi allogati sedevano gli ecclesiastici ed i baroni. Alcuni ravviluppati in grandi cappe co' becchetti tirati infino agli occhi, altri con celate in testa e visiere calate; tal che per sola congettura alcun di loro si poteva ravvisare. Il lume delle finestre (a vetro colorato, et gypso, talco, come dice Leone Ostiense, bellamente lavorate), era stato temperato con tendine di seta. Tutto inspirava solennit

E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa, e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto. Ma voi chi siete, a cui tanto distilla quant’ i’ veggio dolor giù per le guance? e che pena è in voi che sfavilla?». E l’un rispuose a me: «Le cappe rance son di piombo grosse, che li pesi fan così cigolar le lor bilance.

La` giu` trovammo una gente dipinta che giva intorno assai con lenti passi, piangendo e nel sembiante stanca e vinta. Elli avean cappe con cappucci bassi dinanzi a li occhi, fatte de la taglia che in Clugni` per li monaci fassi. Di fuor dorate son, si` ch'elli abbaglia; ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, che Federigo le mettea di paglia. Oh in etterno faticoso manto!

Avrei detto che tutti i loro movimenti e tutte le loro combinazioni di colori, erano stati concertati da un coreografo. In mezzo a quel tal gruppo di cavalieri dalle cappe turchine, s'andava sempre a ficcare, come se ce l'avessero mandato, un cavaliere colla cappa bianca.

Ben son di quelle che temono ’l danno e stringonsi al pastor; ma son poche, che le cappe fornisce poco panno. Or, se le mie parole non son fioche, se la tua audïenza è stata attenta, se ciò ch’è detto a la mente revoche, in parte fia la tua voglia contenta, perché vedrai la pianta onde si scheggia, e vedra’ il corrègger che argomenta

Per quel sentieruolo andavano di buon passo salendo due uomini, chiusi nelle loro cappe di pannolano, imperocchè l’aria notturna incominciava a pungere, sugli Appennini.