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Per un istante credette di doversi rimettere a letto. Se non tornassi più... disse dopo alcuni minuti con voce tremante. Dove vai? Tanto deve accadere presto! Vuoi piangere? l'interruppe Bettina. No, no, mangia le frittelle: sono nel cassetto. Torna presto. Forse. Va pure. A Tina la parola parve avere un altro significato: uscì barcollando.

Dall'altro appartamento si udiva sempre il pianto sommesso della bambina. La piccola voce non cresceva, non diminuiva, simile a quella di un rivolo, che s'ingorghi in una chiavica; ma forse per questo la fanciulla ne provava una impressione sempre più penosa. Che cosa ha stasera Bettina? Il solito. Povera piccina!

Quando no, andava rovistando per la casa se trovasse qualche cosa da rosicchiare e strepitava, dicendo che se no sarebbe andata via un bel giorno col primo venuto, che era una vita infame e così non poteva durare. Donna Bettina diceva: Vattene, vattene, che è meglio; una bocca di meno! Nella notte, mentre la lampada ardeva innanzi a una Madonna sul canterano, lei chiamava sotto voce: Chiarinella!

Betta entrò per la prima correndo al letto: Diglielo, diglielo, sussurrò rapidamente. Ma la signora Veronica, che teneva ripiegata la sottana sul braccio sinistro, con una grande forbice nella mano destra, non pareva alla faccia niente affatto contrariata. Prima di avvicinarsi al letto si fermò alla tavola per esaminare se vi fosse qualche macchia fresca. Bettina chiamò: Vieni qui, mamma.

La signora Bettina non aveva mai perdonato alla scolaresca questo affronto, a suo fratello l'indifferenza con la quale egli ne aveva accolto l'annunzio. Ella che avrebbe voluto un'espulsione in massa! Ella che sarebbe andata in persona dal Preside, se non fosse stata la paura di scontrarsi nuovamente con quei cattivi soggetti!

Tina era vestita: rimise lo specchio al solito posto, si abbassò ancora sulle ginocchia per rimirarvisi, versò da un'altra bottiglia qualche goccia di odore nel fazzoletto; ma Bettina gridò tendendo le palme: Anche a me, anche a me. Tina si sentì mancare sotto le gambe. Nuovamente il sudore l'inondava, ricadde sulla sedia col fazzoletto fra i denti, orribilmente pallida.

La notte della Befana era fredda, ma chiara e stellata. Un grande silenzio s'era fatto nella viuzza solitaria, un grande silenzio si fece nella stanzuccia quando Bettina e Malia chiusero al sonno gli occhi stanchi. Una delle rosee calze della ballerina pendeva accapo al suo letto.

Bettina aveva quasi nove anni, ma non ne mostrava che sei: la sua fronte sporgente sotto i ciuffi dei capelli, era stranamente pensierosa su quel viso di bimba. Diede a Tina il topo da tenere, e dopo una pausa, senza guardarla in viso, ricominciò: Perchè non sei venuta dopo che quell'uomo se n'è andato? Anch'io stavo male: venni pure a portarti il cioccolatino prima di andare a letto.

Donna Bettina le portava nell'involtuccio la vestina di veli, il corpetto rosso a frangia dorata e le scarpine piccole piccole come quelle di Cenerentola. Malia, quando qualcuno dei giovanotti che frequentavano la baracca le avea regalato dei pasticcetti nell'intermezzo, entrando in casa si buttava sul letto tutta stracca, senza nemmanco spogliarsi.

Certe mattine la veniva a vedere la Nunziata, una vicina che le avea dato latte quando Bettina non ne aveva. Povera piccina! faceva povera Chiarinella mia! Le portava un'arancia fresca, sedeva accosto al letto e si metteva a toglierne la buccia e la pellicola, dividendola a spicchi che la bambina succhiava avidamente, in silenzio. Par nata muta diceva Bettina, quando ne parlavano.