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Aggiornato: 10 giugno 2025
Ed è da intender qui che egli in quelle cose che da Anchise intese, come Virgilio nel sesto dell'Eneida mostra, cominciando quivi: Nunc age, Dardaniam prolem quae deinde sequatur gloria, ecc., non udí cosa alcuna del papale ammanto, ma udí cose le quali poi in processo di tempo, come detto è, furon cagione che Roma divenisse sedia del papa, come lungamente giá fu.
Tanto dice di farmi sua compagna, che io saro` la` dove fia Beatrice; quivi convien che sanza lui rimagna. Virgilio e` questi che cosi` mi dice>>, e addita'lo; <<e quest'altro e` quell'ombra per cui scosse dianzi ogne pendice lo vostro regno, che da se' lo sgombra>>. Purgatorio: Canto XXIV
Così, per esempio, sappiamo che Orazio aveva gli occhi cisposi; che lo stomaco di Virgilio digeriva difficilmente; che Sofocle si era così senilmente affezionato al figlio naturale avuto da una donna di Sicione, da provocare un processo in famiglia; ma gli occhi cisposi di Orazio, lo stomaco debole di Virgilio, la senile affezione di Sofocle non sono serviti, per quel che ne sappiamo, di cemento estetico-psicologico alle odi, alle epistole, alle egloghe alla Georgica, all'Eneide, nè all'Antigone o all'Epido a Colono.
E, a dichiarare come Virgilio del limbo sia mosso, è da sapere, come giá dicemmo, esser due mondi: l'uno si chiama il maggiore e l'altro il minore, sí come ne mostra Bernardo Silvestre in due suoi libri, de' quali il primo è intitolato Megacosmo da due nomi greci, cioè da «mega», che in latino viene a dire «maggiore», e da «cosmos», che in latino viene a dire «mondo»: e il secondo è chiamato Microcosmo, da «micros», greco, che in latino viene a dire «minore», e «cosmos», che vuol dire «mondo». E, ne' detti libri, ne dimostra il detto Bernardo il maggior mondo esser questo il quale noi abitiamo, e che noi generalmente chiamiamo «mondo», e il minor mondo esser l'uomo, nel quale vogliono gli antichi, sottilmente investigando, trovarsi tutti o quasi tutti gli accidenti che nel maggior mondo sono.
Voltava le pagine ad ogni tratto, come se ad ogni carta del suo Virgilio, edizione Lugduni, notis brevioribus, tabulisque geographicis adornata, ci fossero dieci esametri in cambio di trentacinque.
Di sopra fiammeggiava il bello arnese più chiaro assai che luna per sereno di mezza notte nel suo mezzo mese. Io mi rivolsi d’ammirazion pieno al buon Virgilio, ed esso mi rispuose con vista carca di stupor non meno. Indi rendei l’aspetto a l’alte cose che si movieno incontr’ a noi sì tardi, che foran vinte da novelle spose.
«Non tener pur ad un loco la mente», disse ’l dolce maestro, che m’avea da quella parte onde ’l cuore ha la gente. Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea di retro da Maria, da quella costa onde m’era colui che mi movea, un’altra storia ne la roccia imposta; per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso, acciò che fosse a li occhi miei disposta.
Ella non ci dicëa alcuna cosa, ma lasciavane gir, solo sguardando a guisa di leon quando si posa. Pur Virgilio si trasse a lei, pregando che ne mostrasse la miglior salita; e quella non rispuose al suo dimando, ma di nostro paese e de la vita ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava «Mantüa . . . », e l’ombra, tutta in sé romita,
Se l'Italia, a modo d'esempio, dopo la nuova civilizzazione, non avesse veduto mai il menomo manoscritto greco o latino, credete voi per questo che l'Italia non avrebbe buona poesia? |Grisostomo|. Leggo ed ammiro assai anch'io Omero e Virgilio, e lo dico davvero.
E quinci rende Virgilio, al quale egli parla, attento a dover guardare al dubbio il quale egli muove, in quanto dice: «Se' savio, e», per questo, «intendi me' ch'i' non ragiono», cioè che io non ti so dire.
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