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Aggiornato: 24 maggio 2025
VIGNAROLO. Basta basta, so che tu cerchi persuadermi che non sia Guglielmo. CRICCA. Vuoi che ti faccia conoscere chi sei? VIGNAROLO. Te ne prego. To', togli questo! VIGNAROLO. O canchero ti mangi! col pugno mi hai rovinato una spalla. CRICCA. Hai sentito la botta, pezzazzo di bestia? VIGNAROLO. Sentitissimo!
VIGNAROLO. Io ne son padrone da quel tempo che ne fu padrone Guglielmo. GUGLIELMO. Chi Guglielmo? VIGNAROLO. Degli Anastasi. GUGLIELMO. Guglielmo Anastasio? quello che andò in Barbaria per saldar la ragione con quel suo compagno e si sommerse nel golfo? VIGNAROLO. Quello che tu dici. GUGLIELMO. Or se Guglielmo si sommerse in quel golfo, come or si trova vivo nella cittade?
GUGLIELMO. Sto fresco: questa veramente è una gran cosa; a me par essere pur quel Guglielmo di prima. Io non son morto: vedo, parlo, mi muovo; o forsi quando mi sommersi, per la gran paura che ebbi quando mi vidi la morte cosí vicina, fossi divenuto un altro, e mi bisogna trovar un'altra persona per essere alcuno? VIGNAROLO. Non piú parole: o va' via o fa' meco questione!
PANDOLFO. Taci or tu: «che Artemisia fosse sposata con mio figliuolo, e Sulpizia con Lelio». VIGNAROLO. Volete voi che io parli o non parli? PANDOLFO. Vo' che parli tanto che crepi! VIGNAROLO. Però tacete voi. PANDOLFO. Ma taci tu, lassa parlare a me. Tu mi promettesti di entrare in casa di Guglielmo e darmi Artemisia per sposa, e poi la desti ad Eugenio.
L'invidia ti rode: crepa d'invidia a tuo modo, teh, teh! Ma se pur n'hai tanta invidia, va' all'astrologo che ha trasformato me, e fatti trasformar ancor tu. CRICCA. Quanto può la forza dell'imaginativa! VIGNAROLO. Non basta il mondo a tôrmi da cosí soave pensiero d'essere Guglielmo: ci sono e ci voglio essere; e se non ci fossi, pur mi parrebbe d'essere.
PANDOLFO. Eccomi e con la persona e con la robba per servirti e porre navi e cavalli per osservarti la promessa, e sarò tuo campione. VIGNAROLO. Su su, me ne son pentito: la cosa non può riuscire, resta per me. PANDOLFO. Che dici? che cervello è il tuo? VIGNAROLO. Orsú, voglio servirvi. PANDOLFO. E ti vuo' dar del mio ducento ducati piú di dote.
Mi par di esser diventato gentiluomo e smenticato affatto del villano: non mi resta altro di vignarolo che l'appetito e l'essere innamorato di Armellina. Son certo che niuno mi conoscerá, poiché io medesimo non piú conosco me stesso. Oh che cosa mirabile! credo che per ogni buco della mia persona sia un spirito. RONCA. Oh, signor Guglielmo, voi siate il bentornato per mille volte!
VIGNAROLO. Goffo! perché mi salvai nuotando. VIGNAROLO. Ed io avea promesso Artemisia a Pandolfo per moglie, ed egli a me Sulpizia sua figlia.
Oh, cancaro! io temo di esser scoperto da altri per vignarolo, e or scopro me stesso; e quel che con tanta diligenza vuo' nascondere lo paleso a tutti. Son solo e parlo come fosse accompagnato. Ascolta, vignarolo, e fa' come ti dico io. Ben, che dici? che vuoi che faccia?
VIGNAROLO. Un cuor mi dice che lo facci; un altro, no. Ascolta e fa' come ti dico io. Come sarò transformato, entrarò in casa sua, mi goderò Armellina. Ma se son Guglielmo, Guglielmo goderá quella dolcezza, non il vignarolo: avrò fatto la caccia per altri. No no, non lo vo' fare in conto veruno, morrò piú tosto!
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