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Aggiornato: 13 luglio 2025
MASTICA. Io ti voglio esser servo o che ti piaccia o no: se ben m'uccideste, per l'affezion che vi porto non potrei stare di non venire a casa vostra e mangiarmi in tavola vostra un pasticcio caldo caldo. TRASILOGO. Un malanno arai tu caldo caldo! SQUADRA. A te dice, Mastica. MASTICA. A tutti dui rispondo io, che ve lo cedo. TRASILOGO. Fa' che non venghi piú a mangiar con me. MASTICA. Perché?
MORFEO. Non andate, di grazia, padrone, ché costui le vuol dare a me. Dagliele. PELAMATTI. E ti par che gli le dia? MORFEO. Ancor dici: mi pare? PELAMATTI. Salvi e contenti... MORFEO....da' mille cancheri che ti divorino o t'avessero divorato duo anni sono! PELAMATTI. Ecco te le dono. Ma fate che non venghi in bottega. MORFEO. Camina, sgombra, fuggi, ché la tua presenza gli accresce rabbia.
Io, per me, farò ogni cosa pur che lo trovi. Va bene. Vuole ch'io vada sino a casa d'una certa Filippa che abita in Treio e ch'io veggia di parlar al servo di misser Curzio el quale è innamorato della figliuola. E hami imposto ch'io gli dica ch'ella è contenta e che, stanotte, ne venga su le tre ore, pur che del prezzo che molte fiate li ha mandato a offerire non gli venghi meno.
Vorrei che li persuadessi a non esser ostinati, ché non venghi con loro a termini poco onorevoli, come non ho fatto per lo passato. TRINCA. Egli non ricusa Sulpizia, ce l'ho proferta da vostra parte: ne ha tanta voglia, che non vede l'ora che sia sera. Di Cleria non bisogna aver tanta fretta.
PRUDENZIO. Extemplo; illico; che venghi statim. MALFATTO. Messer non. Non sono stato in nessun loco. PRUDENZIO. Malan che Dio ti dia! Certe tu es insanus. MALFATTO. Misser sí che son sano. Sonno le scarpe che sonno rotte. Ecole: vedete. PRUDENZIO. Che sí che, s'io torno in scola, te darò una spogliatura! MALFATTO. Ed io me ne andarò a letto, se me spogliarete.
Aspetta pur ch'io venghi giú con un bastone, ché ti farò fugir piú che di passo. MALFATTO. Oh diavolo! Non fare, ché te voglio bene, io; e poi me cci ha mandato lo mastro. CECA. E che vole? Ché non lo dici? MALFATTO. Vole quel cotale che sta qua. CECA. Come se chiama? MALFATTO. Lo mastro lo sa. CECA. O va' e fattelo redire. MALFATTO. Non voglio, ché lui me ha ditto ch'io venga qua a pichiare.
GULONE. Son pigro, secondo il tuo desiderio; ma presto, secondo il mio: a chi desia non si fa cosa con tanta prestezza, che non paia tarda. Dice che, volendola senza dote, venghi a sposarla. TRASIMACO. Ti ringrazio della nuova. GULONE. Che pensi col ringraziamento avermi pagato, come se m'entrasse in corpo e me cavasse la fame e la sete? Troppa ingiuria fai tu al mio ventre.
Possa esser fatto in mille pezzi, se la scappi: vo' morire, ma prima che muoia farò vendetta della cagion della mia morte. Mi tratterrò da qui intorno finché venghi, per passargli la spada mille volte per i fianchi. PANFAGO parasito, PIRINO. PANFAGO. Par che questa mattina nell'uscir di casa abbia cantato la civetta, cosí ogni cosa mi va a traverso.
PSEUDONIMO. Non bisogna trovar il medico prima che venghi la malatia; né io mi curo di pericoli che siano per avvenirmi, purché di me restiate sodisfattissimo. GIACOMINO. Ricordatevi i nomi delle persone e dell'osteria e de' segni delle persone.
Entrarò prima e farò con bel modo che Gerasto venghi a ricevervi. MORFEO. Ricordati dirgli che siamo stracchi e affaticati e morti di fame per essermo stati mal trattati nelle osterie, accioché ne proveda benissimo. ESSANDRO. So che non pensi ad altro. MORFEO. E se lo sapete, perché farvelo ricordare da me?
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