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Aggiornato: 18 giugno 2025


V'ho offesa non volendo, anzi voi stessa m'avete dato cagione che vi offendesse. In tanta allegrezza è di ragion che mi perdoniate. CINTIA. Dulone mio, io non sol ti perdono, ma ti ho caro piú di prima per duo cagioni: l'una perché sei fidele al tuo padrone, l'altra perché la fortuna s'ha voluto servir di te per istrumento della mia felicitá.

Polo mio... perchè far mistero al vostro Cipriano? sapete bene che v'ho veduto nelle fasce, che fui il più sviscerato amico di Matteo... Povero padre mio! Che v'educai e vi fui guida... lasciate la valle? ma quando? perchè?... solo?

SIMBOLO. Non v'ho detto, padrone, che il vostro parlare arebbe cagionato qualche ruina? ch'essendo egli molto superbo punto avezzo a sopportar ingiurie, con che rabbiosa pacienza ascoltava; e con gli occhi lampeggianti di un subbito sdegno, ripieno di un feroce dolore, die' di mano al pugnale e se n'è gita su dove fará qualche scompiglio.

Ma, non so niente, mi pare. Meglio per voi. Andate, buon zio, e fate com'io v'ho detto. Il magnifico nostro signore e tutta la famiglia vi sapranno grado di tutto, non dubitate. Basta, mi fido di te. Hai una certa testolina, che, sto per dire, se comandassi io, ti metterei subito al posto di messere Antonello da Montefalco. Ora, addio; vo a salutare la Rosa....

GIACOMINO. Pártiti or ora con quella prestezza che si richiede al mio desiderio, ché la prestezza e diligenza è madre del buon esito delle cose. CAPPIO. Entrate, ch'io provedendomi d'alcune cose per il viaggio, mi porrò in camino. ANTIFILO. Ma non è Lardon quel che veggio, o forse il desiderio me lo fa cosí parere? LARDONE. Lo vedi veramente; e v'ho servito secondo il vostro desiderio.

Adunque a me non potete rendere questo amore che Io vi richiego; e però v'ho posto el mezzo del proximo vostro, acciò che faciate a lui quello che non potete fare a me, cioè d'amarlo senza veruno respecto, di grazia e senza aspectarne alcuna utilitá. E io reputo che faciate a me quello che fate allui.

però di proposito mi toglio, la materia del mio canto oblio; ma non più a quel c'ho detto, adattar voglio, ch'a quel ch'io v'ho da dire, il parlar mio. Or torniamo a contar del paladino ch'ad assaggiare il vaso fu vicino.

21 Per ben saperne il certo, accortamente Ruggier le disse: Io v'ho veduto altrove; ed ho pensato e penso, e finalmente non so posso ricordarmi dove. Ditemel voi, se vi ritorna a mente, e fate che 'l nome anco udir mi giove, acciò che saper possa a cui mia aita dal fuoco abbia salvata oggi la vita.

CURZIO. Che val dir quel menar di capo e quel maravigliarsi che tu fai? A che pensi? RUFINO. Penso ch'io v'ho voluto dire una cosa parecchie volte e sempre mi è uscita di mente. CURZIO. Qualche bugia deve essere, però. RUFINO. O bugia o veritá, io vel vo' dire. Io mi sono giá imbattuto doi volte in una giovane che tutta a madonna Fulvia vostra si rassomeglia. CURZIO. E dove l'hai tu incontrata?

Vorrei, signora mia, che mi amaste piú di quello che fate. CINTIA. V'ho donato il mio core e sta giá in vostra podestá: fatevi amar quanto vi piace. Ma ditemi, signor mio, come posso amarvi piú di quello che vi amo? ERASTO. Se m'amaste quanto vi amo io, desiareste vedermi piú spesso di quello che fate.

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