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DON IGNAZIO. Certo non farei tanto torto alla sua bontá, alla mia qualitá; l'importanza del negozio il tempo richiede questo. ANGIOLA. Poiché le vostre costumate parole, degne veramente di quel cavaliero che voi sète, m'hanno sgombro dal cuor ogni sospetto, eccomi pronta ad ogni vostro comando.

Grande stupor; ma di vil sciocchezza Non fur per ogni etate infermi i cori, Ch'Europa un tempo a nobili armi avvezza Sgombrò Gerusalem d'ombre e d'orrori; Alme, che peregrine ebber vaghezza La fronte ornarsi di celesti allori, Onde via più, che per altrui non s'usa, Per loro udrassi incomparabil musa.

In poche parole fummo d'accordo sulle condizioni dello sgombro, che era assai facile; se ne usciva il vecchio maestro e le spazzature, la casa poteva consegnarsi subito agli operai affinchè la rendessero abitabile pel nuovo maestro e il suo cane. Ma per tale sgombero mi chiesero quattro giorni, che gli vennero concessi.

Soltanto il cielo era sereno, e sgombro come nei prima dell'orrida battaglia; le stelle luccicavano nell'infinito firmamento, il raggio lunare era ancor mite e vestito ancora di quell'azzurro perlato che di solito sparge tanta malinconica soavit

Più volte, il curato e gli altri lo credettero morto e lo rividero più volte risollevarsi con più acceso accanimento, finchè fu sgombro il fienile e salvata la casa. Dopo due giorni, Gian-Paolo moriva per la febbre delle scottature. La migliore industria estiva nei paesi alpini consiste nell’andare per Guida cogli alpinisti. Nelle Alpi nostre ne campano un cento cinquanta persone.

La Principessa cenno con la mano di chieder silenzio e di voler parlare. Tutti tacquero. Con voce timida e tremante ringraziò di tanto affetto, pregò i buoni Scaricabarilopolitani di calmarsi, di aver fiducia nel Governo e.... di lasciarla riposare. La folla rispose con un'ultimo evviva e quindi sgombrò dal piazzale silenziosamente.

Avevano però ancora un filo di speranza. Non eran riusciti ad estrarre dal ghiaccio il loro bastimento, quando l'avessero estratto, avrebbero potuto riassettarlo in modo da renderlo servibile; ma avevano trascinato sulla riva una barca e una scialuppa, e a poco a poco, sempre difendendosi dagli orsi che si slanciavano fin sulla soglia della loro capanna, eran venuti a capo di ripararle alla meglio. Con questi due piccoli legni essi contavano di dirigersi verso uno dei piccoli porti della Russia, di rasentare cioè la riva settentrionale della nuova Zembla, costeggiare la Siberia e attraversare il Mar Bianco; di fare, insomma, un viaggio di almeno quattrocento miglia tedesche. In tutto il mese di marzo il tempo variabilissimo li tenne in una continua vicenda di speranze e di disinganni. Più di dieci volte videro il mare sgombro fino alla riva e si apparecchiarono alla partenza; ed altrettante volte una recrudescenza improvvisa di freddo riammontò ghiacci su ghiacci, e chiuse la via da ogni parte. Nel mese d'aprile i ghiacci furono immensi e continui. Nel mese di maggio riebbero il tempo incostante. Nel mese di giugno, finalmente, poterono risolversi a partire. Dopo avere stesa una minuta relazione di tutte le loro avventure, della quale lasciarono una copia nella capanna, la mattina del 14 di giugno, con un bellissimo tempo e il mare aperto da tutte le parti, dopo nove mesi di soggiorno in quella terra funesta, fecero vela verso il continente. Su due barche scoperte, sfiniti da tanti patimenti, andavano a sfidare i venti furiosi, le lunghe pioggie, i freddi mortali, i ghiacci vorticosi di quel mare immenso e terribile nel quale pareva una disperata impresa l'avventurarsi con una flotta. Per lungo tempo, durante il viaggio, ebbero a respingere gli assalti degli orsi marini, soffrire la fame, nutrirsi di uccelli uccisi a sassate e d'ova trovate sulle coste deserte, sperare e disperare, rallegrarsi e piangere, dolersi qualche volta di aver abbandonato la nuova Zembla, invocare la tempesta, desiderare la morte. Sovente dovettero trascinare le loro barche sopra campi di ghiaccio, legarle perchè non le portasse via il vento, stringersi tutti in un gruppo in mezzo alla neve per resistere al freddo, cercarsi nella nebbia fitta, chiamarsi per nome, toccarsi per timore d'essersi perduti e per darsi coraggio gli uni agli altri. Non tutti resistettero a così tremende prove. Qualcuno morì. Il Barendz medesimo, che si era imbarcato infermo, sentì, dopo pochi giorni, che la sua fine s'avvicinava, e lo disse ai compagni. Non cessò però un momento di dirigere la navigazione, e di fare ogni sforzo per abbreviare a quella povera gente il viaggio tremendo di cui egli sapeva di non poter vedere la fine. La vita gli mancò mentre esaminava una carta geografica, il suo braccio cadde irrigidito nell'atto di accennare la terra lontana, e l'ultima sua parola fu un incoraggiamento e un consiglio. Nella baia di San Lorenzo, incontrarono, si può immaginare con qual gioia, una barca russa, che diede loro dei viveri, del vino e del cochlearia, rimedio per lo scorbuto, di cui s'erano ammalati parecchi marinai, i quali subito ne guarirono. Costeggiarono la Siberia, e incontrarono altri legni russi di più in più frequenti, e si provvidero di vivande fresche colle quali ristorarono le loro forze. All'entrata del Mar Bianco, una nebbia densissima divise le due barche, che oltrepassarono però tutt'e due il capo Candnoes, e favorite dal vento, percorsero in trenta ore un spazio di centoventi miglia, in capo al quale si ricongiunsero gettando grida d'allegrezza. Ma una gioia ben maggiore li aspettava a Kilduin. Trovarono l

Petrarca. La gioventù coraggiosa si accalca nelle file degli iniziatori per aver parte nella gloria. Acquapendente, Monte Libretti, Monterotondo echeggiano dell'inno della vittoria che i valorosi italiani riportarono sui mercenari stranieri. L'Agro Romano è sgombro dall'infesta loro presenza. I ponti che conducono alla citt

I gesuiti non ponno far altro che: ipocriti, mentitori, e codardi! Vi pensi chi deve che, per marciare e dar delle splendide baionettate vi vuol gente forte. Calatafimi sgombro dai nemici fu da noi occupato. La maggior parte dei nostri feriti era stata trasportata a Vita. A Calatafimi trovammo i più gravi dei feriti nemici, e furon trattati da fratelli.

Il disco della luna lucentissima in un bel cielo sgombro e stellato non essendo più coperto dall'altezza degli edifizj, vibrò un raggio nell'interno della lettiga e rischiarò il volto accorato della Ginevra. Svolgevasi in quella il Palavicino dal suo mantello e, credendo fosse opportuno il momento, si volse, mosse il labbro mandando un debol suono di voce, e guardò la Ginevra, che guardò lui.