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Aggiornato: 13 ottobre 2025
GIRIFALCO. Non posso. PILASTRINO. Dissi bene che non mi degneresti. Non ci è peggio che essere, in questo mondo, pover'uomo; ch'ognun ti fugge. Avrem di buon pipioni in colombaia; e buon vin ne le bótte; e 'l pan, se non è poi bianco a tuo modo, manda per esso a casa. GIRIFALCO. S'io potessi, non mi aresti a pregare. PILASTRINO. E dove ceni? GIRIFALCO. A casa. PILASTRINO. Vedi che tu mi rifiuti.
Appena dette, con un ultimo sforzo, queste parole, venne meno e sarebbe caduta s'io non l'avessi stretta tra le mie braccia. Seguì un accesso nervoso che durò quasi tutta la notte. Ella fu assistita da un medico, dalla signora Emma e da una figlia dell'albergatore. Io vegliavo nella camera vicina. Il medico voleva partire quasi subito, ma lo supplicai tanto, che si trattenne fino a mezzanotte.
E me lo consegnò coll'ultimo bacio, allorchè mi congedò dalla sua casa a questa. Pensate s'io mel tenga prezioso! Anzi, poichè la ventura vi guidò in buon punto, parrei troppo ardita se, avendo voi ozio, vi pregassi a farmene un poco di lettura?»
Or dunque, poiché ci siamo diss'io, che ve pare, mylord, delle nostre donne milanesi? Non sono elle care creature? Mylord intende perfettamente l'italiano; ma nol parla troppo bene, ed usa d'intarsiarvi talvolta vocaboli inglesi. E però sarebbe una disperazione pe' grammatici s'io riportassi il dialogo tutto tutto tal quale avvenne. Farò come meglio potrò. Ebbene, che ve ne pare, mylord?
Ella così contrasta; e non per tanto Ne la nobile impresa Irene è forte, E soggiungea: non invidiar mio vanto; Io son fermata di condurmi a morte, Or tu disgombra il duol, disgombra il pianto, E l'incauto pensier volgi a tua sorte, Acerbissima sì, ch'ella ti mena; S'io nol divieto, a miserabil pena.
Poi fummo dentro al soglio de la porta che 'l mal amor de l'anime disusa, perche' fa parer dritta la via torta, sonando la senti' esser richiusa; e s'io avesse li occhi volti ad essa, qual fora stata al fallo degna scusa? Noi salavam per una pietra fessa, che si moveva e d'una e d'altra parte, si` come l'onda che fugge e s'appressa.
Senti disse lo zio uscendo dal suo riserbo, s'io avessi a darti un consiglio, ti suggerirei di non prender Diana di fronte, di non opporti oggi a ciò ch'ella desidera. E che cosa desidera? chiese il professore turbandosi in volto. Vuol andare a Venezia con la sua mamma.
per te si veggia come la vegg'io, grata m'e` piu`; e anco quest'ho caro perche' 'l discerni rimirando in Dio. Fatto m'hai lieto, e cosi` mi fa chiaro, poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso com'esser puo`, di dolce seme, amaro>>. Questo io a lui; ed elli a me: <<S'io posso mostrarti un vero, a quel che tu dimandi terrai lo viso come tien lo dosso.
Vergalli l'afferrò per un braccio. Ma parlate, per Dio... Dite una ragione... una ragione che abbia almeno un'apparenza di fondamento, e vi prometto che vi lascerò in pace oggi e per sempre... che partirò stasera... No... non stasera. Ch'io non parta?... Badate, Teresa, s'io rimango non sar
DON FLAMINIO. Benissimo, meglio che s'io fussi stato nel tuo cuore o tu nel mio. LECCARDO. Che dici del capitano, del suo non aspettato e fattoci beneficio? DON FLAMINIO. La fortuna non ha ingannato punto il nostro desiderio. LECCARDO. Mai mi son compiaciuto di me stesso come ora, tanto mi par d'aver fatto bene. DON FLAMINIO. Te ne ho grande obligo. LECCARDO. Ne avete cagione.
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