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Aggiornato: 7 giugno 2025
MARTEBELLONIO. Ah, poltronaccio, ti farò conoscer chi son io! LECCARDO. Ti conosco molto tempo fa, che fosti facchino, aiutante del boia, birro, sensale, ruffiano. MARTEBELLONIO. Ah, mondo traditore, ciel torchino, stelle nemiche! fai del bravo perché non posso salir su dove sei. LECCARDO. E tu fai del bravo perché non posso calar giú dove tu sei.
Ma la costanza del mio amore, l'ostinazione dell'anima e la puritá della mia fede, con la quale sommamente l'osservo e riverisco, parmi che suppliscano all'oltraggio della fortuna, e me ne rendono degna. Ma io dubito che m'ami da scherzo e mi burli da dovero, poiché in tanto tempo che ci amiamo, non ha trovato modo di liberarmi da un vil ruffiano, da un abisso di oscuritá dove sepelita mi trovo.
RUFINO. Camina, camina pure: non dubitare. MALFATTO. E dove vòi ch'io camini? RUFINO. A trovar lo mastro tuo che ha pigliato moglie. MALFATTO. E tu come te chiami? RUFINO. Me chiamo Rufino. E camina, se vòi, ché l'è tardo! MALFATTO. Oh Ruffiano! Aspetta un poco. RUFINO. Non posso, ché ho da fare. MALFATTO. Va' pur, adunque, ch'io verrò bene, sí. Oh venga el cancaro!
ALESSANDRO. Allor ricevo fastidio e noia, quando non mi vien comandato da voi cosa alcuna, ch'è mio debito servirvi; venghiamo al tronco. PIRINO. Non so se sapete la mia disgrazia, che Mangone ruffiano ha venduto al dottore la mia Melitea. ALESSANDRO. Non n'ho inteso cosa alcuna, ché se n'avessi saputo un cenno non averei aspettato che me l'avessi domandato.
GULONE. Veramente, sí; ché, se non fussi stato in fame, non sarei andato a casa sua, ma sarei venuto alla vostra. TRASIMACO. Dico che non è ufficio d'uomo da bene. GULONE. Io non fui mai uomo da bene, né ci voglio essere: se ci fussi, mi morrei di fame. Io son ladro, buggiardo, furfante e ruffiano, e cosí sguazzo il mondo. TRASIMACO. Cosí tratti gli amici?
Ecco amboduo sbalzati fuora della casa del ruffiano e condotti in casa vostra: cosí il giorno l'arete nera in casa, e la notte bianca in letto, lavandole la faccia. PIRINO. Ogni cosa va bene, eccetto che come Mangone troverá quello in casa vestito de' panni di Melitea, lo porrá in mano della giustizia, e la corda li fará confessare il furto usato da noi.
FILACE. Vado. MANGONE. Filace è un gran custode, molto astuto e sospettoso, e teme insin delle mosche. Poi, gabbar me? son un tristo e son ruffiano bastavi questo, e son il maggior ruffiano di tutto il ruffianesmo. FILACE. Mangone, la camera è aperta e dentro non v'è alcuno. MANGONE. Oimè, che m'hai ucciso! FILACE. Come ucciso? MANGONE. Parli pietre, me n'hai dato una in testa che m'ave ucciso.
FILIGENIO. Perché, con iscusa di farmi comprar un schiavo per un vostro amico, me avete fatto comprar l'amica del mio figliuolo e fattalami condurre a casa? ALESSANDRO. Mi fo la croce; overo ciò dite per schernirmi, o forse vi movete da alcuna falsa informazione. FORCA. Vedrete, padrone, che tutto sará falsitá quanto vi è stato detto. FILIGENIO. Ed in cose di niente farmi ruffiano di mio figlio?
Appena fui nata che fui privata del padre, della patria e della propria casa, e in strani paesi non è stato scontento o sciagura che non fusse da me provata assai disconvenevole al mio sesso e alla mia giovanezza; e sperando che il tempo partorisse a' miei mali qualche rimedio, ecco fui fatta rapina di corsari e, sofferti pericoli del mare, son stata venduta per ischiava ad un furfantissimo ruffiano.
FORCA. Nascondiamoci e ascoltiamo, ché da' suoi maneggi ne caveremo principio di qualche garbuglio: ogni suo trattamento ne potrebbe giovare. MANGONE ruffiano, FILACE servo, PIRINO, FORCA. MANGONE. Filace, olá, non odi? cala qua giú presto. FILACE. Eccomi.
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