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Ma voi adesso vi dovete alzar da letto e far castelli in aria, eh? MARTEBELLONIO. Ho tardato un pochetto, ché ho atteso a certi dispacci. LECCARDO. Per chi? MARTEBELLONIO. Per Marte l'uno e l'altro per Bellona. LECCARDO. Chi è questo Marte? chi è questa Bellona? MARTEBELLONIO. Oh, tu sei un bel pezzo d'asino! LECCARDO. Di Tunisi ancora.

DON IGNAZIO. A me non parea mai che venisse l'ora di veder un tanto impossibile, per poter dire liberamente poi che onore e castitá non si trova in femina; poiché costei, di cui si narrano tanti gran vanti della sua onestá, si trovi disonesta. DON FLAMINIO. Cosí va il mondo, fratello: quella donna è tenuta piú casta che con piú secretezza fa i suoi fatti. MARTEBELLONIO. Sento stradaioli.

MARTEBELLONIO. Tu sei un gran bugiardo! LECCARDO. Voi sète maggior di me: son un vostro minimo! MARTEBELLONIO. Dimmi un poco, quanto tempo è che Calidora non t'ha parlato di me? LECCARDO. Ogni ora che mi vede; e quando passegiate cosí altiero dinanzi le sue fenestre, spasima per il fatto vostro.

Ma che segni mi darete quando venite di notte ché vi conosca? MARTEBELLONIO. Quando sentirai tremar la casa e la terra come se fusse un terremoto, son io che camino. LECCARDO. Andrò ad ordinar con lei l'ora che possa venir senza saputa di suo padre. Venite sicuramente. MARTEBELLONIO. Andrò a cenare e sarò qui ad un tratto.

DON IGNAZIO giovane innamorato SIMBOLO suo camariero DON FLAMINIO giovane suo fratello PANIMBOLO suo camariero LECCARDO parasito MARTEBELLONIO capitano ANGIOLA vecchia CARIZIA giovane EUFRANONE vecchio POLISSENA sua moglie CHIARETTA fantesca AVANZINO servo Birri DON RODERIGO viceré della provincia. Il luogo dove si rappresenta la favola è Salerno. DON IGNAZIO giovane, SIMBOLO suo cameriero.

MARTEBELLONIO. Io so molto ben che la poverella si deve strugger per me, ché n'ho fatto strugger dell'altre. Ma io vorrei venir presto alle strette. LECCARDO. Ella desia che fusse stato; e se voi mi pascete ben questa sera, io vi recarò buone novelle e vi do la mia fede. MARTEBELLONIO. Guardati, non mi toccar la mano, ché se venisse, stringendo te ne farei polvere, ché stringe piú d'una tanaglia.

Olá, date la strada se non volete andar per fil di spada! PANIMBOLO. Se non taci, poltronaccio, andrai per fil di bastone! DON IGNAZIO. Chi è costui? SIMBOLO. Quel capitan vantatore. O signori don Flaminio e don Ignazio, son il capitan Martebellonio! E dove cosí di notte senza la mia compagnia? ché è meglio aver me solo che una compagnia d'uomini d'arme. DON FLAMINIO. E tu dove vai? a donne ah?

LECCARDO. E se stavate di fuori, eravate in un altro mondo e non in questo. MARTEBELLONIO. O sciagurato, io stava dove stava Atlante quando anch'egli teneva il mondo. LECCARDO. Ben bene, seguite l'abbattimento. MARTEBELLONIO.... Mona viva, sentendosi offesa ch'avessi dato aiuto al suo nemico, mi mirava in cagnesco con un aspetto assai torbido e aspro, e con ischernevoli parole mi beffeggiava.

Ma perché trattengo me stesso in tante facende? andrò su, cenerò subito e andrò in letto, accioché dimani mi levi per tempo. Sommo Dio, appresso cui son riposte tutte le nostre speranze, fa' riuscir queste nozze felici per tua solita bontade, ché so ben che noi tanto non meritiamo! MARTEBELLONIO solo.

MARTEBELLONIO. Ti vo' raccontar la battaglia ch'ebbi con la Morte. LECCARDO. Non saria meglio che andassimo a bere due voltarelle per aver piú forza, io di ascoltare e voi di narrare? MARTEBELLONIO. Il ber ti apportarebbe sonno, ed io non te la ridirei se mi donassi un regno. I miei fatti son morti nella mia lingua, ma per lor stessi sono illustri e famosi e si raccontano per istorie.