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Aggiornato: 8 giugno 2025


così de li occhi miei ogne quisquilia fugò Beatrice col raggio d’i suoi, che rifulgea da più di mille milia: onde mei che dinanzi vidi poi; e quasi stupefatto domandai d’un quarto lume ch’io vidi tra noi. E la mia donna: «Dentro da quei rai vagheggia il suo fattor l’anima prima che la prima virtù creasse mai».

cosi` de li occhi miei ogni quisquilia fugo` Beatrice col raggio d'i suoi, che rifulgea da piu` di mille milia: onde mei che dinanzi vidi poi; e quasi stupefatto domandai d'un quarto lume ch'io vidi tra noi. E la mia donna: <<Dentro da quei rai vagheggia il suo fattor l'anima prima che la prima virtu` creasse mai>>.

Per te poeta fui, per te cristiano: ma perché veggi mei ciò ch’io disegno, a colorare stenderò la mano. Gi

No, pinseri miu... 'A viritati giusta, mi pari curiusu 'ssu matrimoniu, ca duvissi succederi accussì... senza ca iddu 'a vidissi prima... senza diri si cci piaci o non cci piaci... L'occhi soi, scusati, non sunnu l'occhi vostri... No, pirchissu, iddu non cci vidi chi pi l'occhi mei...

Quivi e` la rosa in che 'l verbo divino carne si fece; quivi son li gigli al cui odor si prese il buon cammino>>. Cosi` Beatrice; e io, che a' suoi consigli tutto era pronto, ancora mi rendei a la battaglia de' debili cigli. Come a raggio di sol che puro mei per fratta nube, gia` prato di fiori vider, coverti d'ombra, li occhi miei;

E, che ciò sia, in me misero e infelice veder si puote: ch'allevatomi al servizio del mio signore, dal quale giustamente gran premio delle mie lunghe fatighe aspettavo in guidardone di mei mal spesi anni, mi ha contra mia voglia dato moglie.

Voi, ch'avete nel cielo alto ricetto, Vergini sacrosante, or mei dite. Qual, se sdegno a Nettun cangia l'aspetto, Teme Glauco e Nerco, teme Anfitrite: Ed ei su rote immense aspro fremente Conturba intorno il mar col gran tridente: XLVI Per guisa tal su quell'orribil piano L'alto d'Italia cavalier sen giva Pien di tempesta, e con terribil mano Fiumi di sangue in fra le squadre apriva.

Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, siede Rachel di sotto da costei con Bëatrice, come tu vedi. Sarra e Rebecca, Iudìt e colei che fu bisava al cantor che per doglia del fallo disse ‘Miserere mei’, puoi tu veder così di soglia in soglia giù digradar, com’ io ch’a proprio nome vo per la rosa giù di foglia in foglia.

Quivi e` la rosa in che 'l verbo divino carne si fece; quivi son li gigli al cui odor si prese il buon cammino>>. Cosi` Beatrice; e io, che a' suoi consigli tutto era pronto, ancora mi rendei a la battaglia de' debili cigli. Come a raggio di sol che puro mei per fratta nube, gia` prato di fiori vider, coverti d'ombra, li occhi miei;

DON IGNAZIO. Vi priego a trattenervi un altro poco, accioché gli occhi mei abbino il desiato frutto di lor desiderio. CARIZIA. I prieghi de' padroni son comandi a' servi; e se ben i rispetti delle donzelle non patiscano tanto, pur per un marito si deveno rompere tutti i rispetti. Eccomi apparecchiata a far quanto mi comandate. DON IGNAZIO. Cara padrona, mi basta l'animo solo.

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