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<<Or quando tu cantasti le crude armi de la doppia trestizia di Giocasta>>, disse 'l cantor de' buccolici carmi, <<per quello che Clio` teco li` tasta, non par che ti facesse ancor fedele la fede, sanza qual ben far non basta. Se cosi` e`, qual sole o quai candele ti stenebraron si`, che tu drizzasti poscia di retro al pescator le vele?>>.

«Spene», diss’ io, «è uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto. Da molte stelle mi vien questa luce; ma quei la distillò nel mio cor pria che fu sommo cantor del sommo duce. ‘Sperino in te’, ne la sua tëodia dice, ‘color che sanno il nome tuo’: e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?

«Or quando tu cantasti le crude armi de la doppia trestizia di Giocasta», disse ’l cantor de’ buccolici carmi, «per quello che Clïò teco tasta, non par che ti facesse ancor fedele la fede, sanza qual ben far non basta. Se così è, qual sole o quai candele ti stenebraron , che tu drizzasti poscia di retro al pescator le vele?».

<<Or quando tu cantasti le crude armi de la doppia trestizia di Giocasta>>, disse 'l cantor de' buccolici carmi, <<per quello che Clio` teco li` tasta, non par che ti facesse ancor fedele la fede, sanza qual ben far non basta. Se cosi` e`, qual sole o quai candele ti stenebraron si`, che tu drizzasti poscia di retro al pescator le vele?>>.

Sarra e Rebecca, Iudit e colei che fu bisava al cantor che per doglia del fallo disse 'Miserere mei', puoi tu veder cosi` di soglia in soglia giu` digradar, com'io ch'a proprio nome vo per la rosa giu` di foglia in foglia. E dal settimo grado in giu`, si` come infino ad esso, succedono Ebree, dirimendo del fior tutte le chiome;

Colui che luce in mezzo per pupilla, fu il cantor de lo Spirito Santo, che l'arca traslato` di villa in villa: ora conosce il merto del suo canto, in quanto effetto fu del suo consiglio, per lo remunerar ch'e` altrettanto.

Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, siede Rachel di sotto da costei con Bëatrice, come tu vedi. Sarra e Rebecca, Iudìt e colei che fu bisava al cantor che per doglia del fallo disse ‘Miserere mei’, puoi tu veder così di soglia in soglia giù digradar, com’ io ch’a proprio nome vo per la rosa giù di foglia in foglia.

«Spene», diss’ io, «è uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto. Da molte stelle mi vien questa luce; ma quei la distillò nel mio cor pria che fu sommo cantor del sommo duce. ‘Sperino in te’, ne la sua tëodia dice, ‘color che sanno il nome tuo’: e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?

<<Spene>>, diss'io, <<e` uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto. Da molte stelle mi vien questa luce; ma quei la distillo` nel mio cor pria che fu sommo cantor del sommo duce. 'Sperino in te', ne la sua teodia dice, 'color che sanno il nome tuo': e chi nol sa, s'elli ha la fede mia?

Cosi` da quella imagine divina, per farmi chiara la mia corta vista, data mi fu soave medicina. E come a buon cantor buon citarista fa seguitar lo guizzo de la corda, in che piu` di piacer lo canto acquista, si`, mentre ch'e' parlo`, si` mi ricorda ch'io vidi le due luci benedette, pur come batter d'occhi si concorda, con le parole mover le fiammette. Paradiso: Canto XXI