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Aggiornato: 21 luglio 2025


MANGONE. Io non ho desiato altro nella mia vita che un simile incontro: io accetto carissimamente la sua amicizia. Di costui vo' dar cinquanta scudi, se ben conosco che val piú, e quel piú lo ricevo in dono, accioché egli prenda medesimamente fiducia di servirsi di me, delle mie robbe e della mia vita.

MANGONE. L'aspetto solo non vale un tesoro? vedeste mai schiavo piú bello, di miglior garbo e di piú nobile apparenza?

MANGONE. Sapete bene che la caparra porta seco tal obligo, che obliga il venditore a ricordarsi piú di lui che di ogni altro; e se non facessi torto alla vicinanza e alla vostra autoritá, ve la chiederei. FILIGENIO. T'intendo, eccolati. MANGONE. Avrete manco fatica a darmi il resto. FILIGENIO. Prendi, potrai annoverargli con piú agio in casa tua: son cinquanta scudi.

Ma poiché vi par meglio vendermi a questo gentiluomo, a me par ancor meglio, poiché quello che piace a voi, piace ancor a me. Le volontá de' padroni son legge de' servi: mi contento cosí ubbidirvi in ciò, come era disposto servirvi in ogni altra cosa. MANGONE. Non lo servirai molto tempo, perché ti fará libero presto.

PANFAGO. Mi contento di quello che voi vi contentate di darmi, cosí il mio padrone desia la vostra amicizia. MANGONE. Eccovi quindici scudi; in casa vi darò gli altri: potrete annoverargli. PANFAGO. Credo alla vostra parola. MANGONE. Come si chiama lo schiavo? PANFAGO. Amore, padron caro. MANGONE. Di che paese? PANFAGO. Di Donnazapi, della provincia di Rabasco. MANGONE. Che nome voi mi dite?

DOTTORE. Zappiamo nell'acqua. MANGONE. Non v'accorgete della industria di Forca? S'ha servito per stromento di questa trappola d'un sordo, muto e pazzo, accioché, essendo qui ritrovato e dimandato dalla giustizia, ei non possa dar indicio di alcuna cosa. DOTTORE. Chi ha fatto la pentola, ha saputo ancor far la manica. Non v'accorgete che è matto e pazzo?

CAPITANO. A me par che ve ne sia molto poca; perché tu mi richiedi di cose senza ragione, mi molesti con poca ragione e mi provochi a ira con molta ragione. MANGONE. Oh, seria bella certo, ch'essendo tu solo e forastiero, senza aver alcuno per te, volessi vincer me che ho parenti e amici nella mia terra. CAPITANO. Dimmi, ch'è l'arte tua?

MANGONE. Certo non per mancamento di voluntá o di diligenza; se non che, ordinandole che si ponesse in ordine per venir a trovarvi, sovrapresa da un strano accidente, cascò morta; e se non che m'accorsi che sotto le vesti cosí pian piano le palpitava il cuore, io la mandavo a sepelire. DOTTORE. L'altro giorno la viddi bellissima.

PANFAGO. Oimè, oimè, perché con tanta fretta? ALESSANDRO. Perché cosí meritano i pari tuoi. CAPITANO. Io non so che hai tu meco che cerchi da me: che sai tu chi sia io, se questa è la prima volta che pongo il piede in questa terra? e tu come una infernal furia mi persegui! MANGONE. Vo' che mi restituisca la mia robba, poiché per tuo conto io son stato miseramente assassinato.

PANFAGO. Certo, se non avesse visto io imbrattarvi il viso con quella polvere, non crederei mai che foste Pirino: cosí rassembrate un schiavo al naturale; ci è questo di buono ancora, che incontrandovi con Melitea non sarete scoperto, se diventerete pallido o rosso con Mangone, ché il color nero nasconde il color del volto sotto la tinta: andate come in maschera.

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