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Aggiornato: 12 giugno 2025
Non so se ero intronato o se 'l cervello mi vacillava o se cosí mi penso o se qualcun mel fe' veder d'incanto, la sera inanzi a ier, che una persona per una scala entrò ne la fenestra che guarda l'orto ove era Lúcia. FRONESIA. Lúcia? FILOCRATE. Sí, Lúcia. E v'eri tu. FRONESIA. Io? FILOCRATE. Sí. Piú forte.
GIACOMINO. Padre, la bacio mille volte per ora con la bocca del core. GIACOCO. Iacoviello mio, appiendi na cepolla squillitica alla fenestra soia e pastenace la valleriana, che no ce pozzano le ianare per la nvidia. E tu, Aurelia mia, ama Iacoviello mio, ca la bellezza toia l'ha tanto spertosato lo core che ne sta tutto scarfato e spronamentato.
FILOCRATE solo, FRONESIA fante a la fenestra, PILASTRINO. FILOCRATE. E ch'io mi sia ingannato non può giá star; ché questa è pure appunto l'ora che m'ordinò. Vo' ritornare un'altra volta. Vincer pur devrebbe la lunga servitú, la mia pazienza sí cruda mente. Visch'! visch'! isch! Oh! Eccola; è venuta. Pensai bene: ché, s'io non ritornava, forse ch'ora s'andava al letto; c'ha la scuffia in testa.
DULONE. Ed io nel por del piè in questa strada, l'ho lasciata che stava ragionando col padre su la fenestra in quel vicolo, e l'ho vista come veggio voi. Se Amasia non gioca di bagattelle o non è qualche fantasima, non so come possa star in duo luoghi in uno istesso tempo. ERASTO. Chi era seco nella strada?
FORCA. Forzatevi. PIRINO. Ogni cosa può essere, ma che muti pensiero non mai. Ami qualunque li piace, facciami quante offese ella puote, non sará mai che quei disgusti e quelle offese non mi sien piú dolci di quante dolcezze potessi aver in questa vita. FORCA. O padrone, è caduta una lettera dalla sua fenestra: eccola, mirate se viene a voi. PIRINO. Conosco la sua mano.
LÚCIA. Omai di questo non mi san piú per tôr passion né affanno, visto quanto in lui regni villania e ingratitudine; anzi, il grande amore è vòlto in odio. FRONESIA. Tel vo' dir. Suo danno! Io era, poco fa, sú, a la fenestra, quando il vidi apparir lá giú lá giú. E, d'allegrezza, non potei soffrire di venirti a chiamar; ma gli andai in contra e, giuntolo al fornaio, il salutai da parte tua.
ESSANDRO. Entratevene, che vostro padre non vi vegga. CLERIA. Fa' di modo che tu mi porti bone novelle. ESSANDRO. Bene. CLERIA. E se pur non mi trovasse in fenestra, che fischi, ché verrò subito. ESSANDRO. Me ne vo. CLERIA. Aspetta, aspetta, ascolta questo. ESSANDRO. Entrate, ché Gerasto vostro padre vien fuora; che non vi vegga. GERASTO vecchio, ESSANDRO.
ESSANDRO. Farò che tocchi la veritá con le mani. NEPITA. Or questo è altra cosa. ESSANDRO. Va' e dille che si facci su la fenestra, ché vuol ragionarmi, e a questo effetto sono qui fuora. NEPITA. Volentieri.
Parlerò di modo che alcune parole ne ascolterá egli che li parranno che vadino in suo favore, e parlerò basso poi quelle che non voglio che ascolti. Balia balia! accostati a me. BALIA. Eccomi, signora mia. AMASIO. Di' a Lidia che ascolti dalla fenestra ch'ora ragionerò di lei a Cintio, perché me ne porge occasione; e aiutami come m'hai promesso.
CINTIA. D'ogni cosa potrebbe di me temere fuorché d'esserle fatto oltraggio all'onore; e assicurala che starebbe con me come se stesse con una sua sorella. Orsú, mi parto, adio. BALIA. E io vo' andar a chiesa a far compagnia a Lidia fin a casa. Ma veggio Amasia sua amica dalla fenestra che mi fa segno. BALIA di Lidia, AMASIO sotto abito di donna. AMASIO. Balia balia, dove sei avviata?
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