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Vuoi ca dorma miezo sta chiazza? O Cielo, ca vedesse Chiappino, ca me facesse mparare la via! CAPPIO. Che omme stare chesse Chiappine? GIACOCO. No catarchio, no catámmaro peio ca non si' tu. CAPPIO. Tu mentire per le gole, ché cheste Chiappine stare gran omme da bene. GIACOCO. Ora chesta è la ionta dello ruotolo, avere a competere co no tavernaro.

PEDANTE. Ecco mi trovo afflitto da tante contumelie; sed «patienter ferre memento». O l'aria di Napoli è tanto ottusa che ottunde gli anfratti auriculari che non vogliono intendere, overo hanno qualche cacademone nel capo. GIACOCO. È lo vero che tu hai no demonio che te caca nduosso; e se me ntrattengo troppo con tico, che quarcuno non cache ncuollo a mene. Se si' spiritato, fatte nciarmare.

CAPPIO. O padron mio, che siate il ben trovato! GIACOCO. Eilá, fosse Chiappino chisto? eccotillo, isto è isso. Che singhi lo ben trovato, ca ieva sulo e me parea ca ad ora ad ora me fosse pigliata la mesura dello ioppone. CAPPIO. Come! tornate da Posilipo a quest'ora?

PEDANTE. Se non mi trovate la mia figliuola e la balia, tanto vociferarò che i miei stridi giungeranno ad astra coeli. GIACOCO. In casa mia non c'è astraco astraciello. PEDANTE. Io lasciai qui mia figlia per arrabone. GIACOCO. Mienti pe la gola, ca nui non arrobbammo. O povero Iacoco, dove si' arreddutto! Tu mi faressi venire li parasisimi.

GIACOCO. Zitto zitto, ca non ce senta; ca l'autro iuorno me venne a fare la cura e me mpizzai lo canniello tanto forte ca m'appe a sparafundare, e poi fece lo vrodo tanto caudo che me scaudai tutto lo codarino; e però non lo vuozzi pagare. E dove simmo? CAPPIO. A mastro Argallo che fa li brachieri. GIACOCO. Passammo a largo, ca m'aggio fatto fare lo vrachiere mio e non l'aggio pagato ncora.

GIACOMINO. Andate in buon'ora, Giacoco, mio caro padre, attendete alla vostra salute da cui dipende tutta la nostra; ma quando sarete di ritorno? GIACOCO. Crai, poscrai, poscrigni o piscrotte allo chiú chiú, ca la vendegna ce la faccio brocioleare. Guardáte la casa, pigliatevi spasso e sguazzate. CAPPIO. Se volete che sguazziamo, lasciateci denari assai.

PEDANTE. Di cosí nefando atto vuo' che ne resti memoria ne' secoli futuri. GIACOCO. Chiappino, fa' sta caretate, porta chisto all'osteria dello Cerriglio, perché averá scagnata la taverna. Guai e maccaruni se voleno mangiare caudi caudi; e se non se ne vuole ire, dalle quarche manomerza. CAPPIO. Andiamo, ch'io vi condurrò al Cerriglio.

LIMOFORO. Io non son per mancargli di compassione se non mi si mancherá di dovere da vostra parte: ben sapete le sodisfazioni che si cercano in simili offese. GIACOCO. Bella faccia mia, te puoi nformare in chesta cittate ca dintro lo parentato mio no nc'è quarche chiavettiere o sosomellaro; se no te sdigni d'apparentare co mico, io te lo do pe schiavuottolo ncatenato.

Padron, ecco il vostro padre; entrate dentro e non vi fate vedere, ché io rimediarò al tutto: lasciate cosí ogni cosa e attendete a quel che dico. GIACOCO. Sia ringraziato lo Cielo ca me veo a la casa mia!

GIACOCO. Pensava entrare alla casa mia e l'aggio trovata taverna; e no todisco mbriaco me volea fare accussine, e se non era sapatino, me carfettava a crepapanza, a serra de lino. CAPPIO. E voi stimate che questa sia casa vostra? Voi sète fuor di cervello: questa è l'osteria del Cerriglio, e la vostra casa è un pezzo lontano di qua.