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Aggiornato: 16 aprile 2025
Forse avvien, che di me vergogna prendi; O ch'al mio favellar non dai credenza: Ma per mia bocca quelle cose intendi Ch'avria detto Ottomano in tua presenza. Or la cagione, onde al mio dir contendi, E che narrasti, è popolar sentenza, Ed indegna di te, nel cui bel petto E senno ed accortezza han suo ricetto.
Non pose fine al favellar, che sorto Scorse l'uom spento e 'n guisa tal s'offerse, Che sembrava a mirar tra vivo e morto Di sì fatto colore ei si coperse; Era sanguigno i crin, lo sguardo torto, La fronte oscura; e sì le labbra aperse Che, qual fischio per l'aria udir si suole, Ferian l'orecchie altrui le sue parole.
Al così favellar doglia profonda D'alto gelo a Sultana empie le vene; Indi si scote; e su l'eburnea sponda L'afflitta guancia con le man sostiene: Oh per me, disse alfine, ora gioconda, Se come a far m'accinsi, uscia di pene Col ferro allor che 'l genitor mio sparse L'alma canuta, e che la patria s'arse.
Udendo Alcmero il ragionar pungente, Di disdegno turbò l'aspra presenza, E rispondea: cosa rivolgi in mente? E qual di favellar pigli licenza? Serba tai modi per la vulgar gente, Perchè con esso me poi farne senza, Che da lontano a guerreggiar mi mena Mio libero voler su questa arena.
Ah che di sozze abominevol voglie Rapina fian: quì la rugosa fronte Gemendo abbassa in su le palme, e scioglie Giù da le ciglia lagrimando un fonte. Mentre il vince così forza di doglie A favellar comincia Alcimedonte, Non senza affanno; e sì dolor lo strinse, Ch'a mezzo il favellar gemiti spinse.
Ella quì prese a favellar; che dica Voce di fama, e se a guerrier furore Manifestasse a la stagione antica La destra femminil tanto valore, Prender non vuò di esaminar fatica; Ma ben pensando mi ritorna in core, Che la fama quaggiù spesso è verace, E che spesso mentendo anco non tace.
Quì non son mostri; inginocchiata avanti Hai Sultana, che sparge alti sospiri. Diceva ancor, ma lo sgorgar de i pianti Tra singulti interrotto, e tra sospiri Il vigor tolse; e sì l'angoscia crebbe Ch'ella a più favellar forza non ebbe.
Ed io con lei calco il sentiero, Ed in brev'ora la foresta entriamo; Molto cercammo, ed oh spettacol fiero! Al fine in scura valle il ritroviamo Tutto sanguigno, e le sue membra ancise, Sbranate e lacerate in varie guise. Subito fummo, io da mestizia oppresso, Gelido il petto, e con le ciglia immote, A lei di favellar non fu concesso: Cotanto pianto l'inondò le gote.
E Folco rispondea: rinfranca il core; Sono al barbaro stuol chiuse le porte: Noi da le mura lo spingemmo, e fuore La spada d'AMEDEO gli trasse a morte. Quì soverchiando del mortal dolore L'estrema angoscia a favellar fu forte Con più chiarezza, e poteo far palese L'interno gaudio il cavalier francese.
Ben veggio: è indarno Ogni mio favellar. Ma se in te morto È il pontefice e il re, l'uomo ancor vive; Odimi dunque, o sciagurato, e trema. L'ara di Dio non croller
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