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E pur Sultana in quel notturno orrore Con fervido pensier cerca ogni strada Perchè tra gli aspri assalti il suo signore Soverchio ardito in guerreggiar non cada: De gli annunzj del Ciel prende timore, E teme d'AMEDEO l'invitta spada. Così molto rivolve il cor dolente; Al fin Sangario le ritorna in mente.

Così veloce ad Ottoman sen riede, E col bel guardo di mestizia pieno Fiso il rimira, e gli si getta al piede, E vinta di dolor quasi vien meno: Egli in foco sen va come la vede, L'alza da terra, e la si stringe al seno, E stan gemendo, e palpitando alquanto; Sultana alfine apre le porte al pianto;

dicendo da lei gli occhi non gira, Tutto intento a spiar ciò ch'ella pensi. Ed ella giù nel cor prima sospira, Soggiunge poscia: di martiri immensi Altra vivendo non rifiuti il peso, Ciò non fia certo di Sultana inteso.

Ora, questa sultana dei saloni aristocratici subiva, da ventiquattro ore, i dolori più strazianti, le ferite più spietate cui potevano infliggere il denigramento, il rimorso, l'insulto, l'ignominia.

Tanto vogl'io, tanto Ebrain richiede Per estremo conforto a' casi duri L'antico tuo signor; s'ami la fede, Fa, che ben cauto i miei desir procuri; Non ingombri tuo cor vana mercede; Pronto disponti a ciò; vuo' che tu giuri, Che s'io rimango ne la pugna oppresso, Sultana per tua man verrammi appresso.

Sultana piange sopra OttomanoCosì l'argomento postovi dal Poeta. Il Cav. d'Urfè trova molto da censurare in questo canto.

Solo Ebrain verso Sultana il piede Volgendo afflitto da sua sospinto L'alta donna trovò che 'n terra siede Presso il feretro del signore estinto; Ivi che piange e che sospira ei vede, E ch'oggimai di morte il viso ha tinto, E che sommersa nel cordoglio e lassa Su la sinistra palma il capo abbassa.

Maledetta donna, proseguì Ahmed. L'amavo, aveva da me tutto quello che desiderava, aveva a sua disposizione duecentomila guerrieri pronti a farsi uccidere per lei, era più di una sultana, e mi obliò, mi abbandonò. Ma verr

Perchè cotanti guai? mira, Sultana, Che di troppo spavento empi i pensieri; Se da Sangario vien fama non vana Sottrarremo Ottomano a' casi fieri, Che per farti felice alto diletto Sarammi il sangue riversar dal petto.

Ma su questo poema convien leggere le lettere del Chiabrera a Bernardo Castello, che si stampano dal sig. Ponthenier; essendo in esse la storia minutissima dell'Amedeida. Prende le forme di Licasta, e muove Così la Furia di Sultana al letto; Onde ella di distor faccia sue prove Dal desio di pugnar il Re diletto. Prega essa; ma pregar nulla ha che giove, ardore ammorza nel guerriero petto.