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Ai sacrifici occulti e ai magnifici errori, A l’energie del genio e ai palpiti de’ cuori, Al moto, al suono, al vol, Io sciolgo, io sciolgo un inno irrefrenato, indomo; Semplice come spica, robusto come l’uomo, Eterno come il Sol!...

E tanto piú, perché a costoro non mancano mai altre persone, che, abusandosi delle proprie fortune ed autoritá, prestano loro occulti favori e protezione, non avendo mai avuto questo privilegio il sangue nobile, tuttoché sempre degno di rispetto e venerazione, di non produrre, a guisa di frumento, qualche spica di pessimo loglio.

Se tu sapessi che ridente cosa Esser nato da un bacio de la terra: Esser l’erba sottil, la pampinosa Vite, la spica bionda, Il fior che un seme di dovizia serra Il Dio che lo feconda!... Giunse a me da le vèrtebre del suolo Dai bisbigli de’ germi a primavera, Da le nozze de i pòllini, dal volo Magnifico de i venti, Da la fumida corsa battagliera De’ cavalli nitrenti,

E il rimpianto, e lo sdegno e l'ironia, irrompono con lo stesso impeto e con la stessa limpidezza di forma che altri rimpianti, altri sdegni, altre ironie, hanno assunto, ora un giorno, ora un altro, nell'articolo di giornale: Noi che falciammo i campi de la fede, lieti ne la sacrilega fatica, e, pria che desse il grano, sotto il piede calpestammo la spica;

Ecco la sconsolata Margherita che geme ginocchioni davanti a una immagine della Mater Dolorosa e Tecla invocante la stessa Pia che a la richiami da questo basso mondo ove per lei l'ora dell'amore e della intensa vita passò; e bella, florida di speranze come a primavera la spica, come il tralcio d'estate, nell'ombra d'un carcere, con l'orrore della ghigliottina negli occhi, la fanciulla che Andrea Chénier udì singhiozzare, avvinghiandosi disperatamente alla vita; «je ne veux point mourir encoreEcco il Bonnivard di Byron che nel nero Chillon apprende ad amare la disperazione.

DON FLAMINIO. Dái impedimento ad un gran disegno, ché non lo possiamo metter in atto e nel felice corso della vittoria si rompe: mi distruggi in erba e in spica le giá concette e mature speranze. LECCARDO. Voi volete che i buoni bocconi, che ho mangiato in casa vostra, mi costino come il cascio a' topi quando incappano alla trappola. DON FLAMINIO. Dunque non vòi aiutarmi?

Ella non pensò mai che fosse ingiusto per l’altrui pane coltivar la spica, con tristezza, con fame e con fatica guadagnando la vita a frusto a frusto: arò la terra e dondolò la culla, senza riposo e senza gioia.

Per il bimbo che nacque ieri, e per quello che ancora è nascosto nel grembo della madre: poichè ogni vuoto si riempie, per quanto immani siano i massacri. Per la spica e per il frutto che debbono maturare; fossero pure la sola ed il solo rimasti intatti nei campi e negli orti devastati. Per il fratello che non conosci e che ugualmente vive in te, come tu vivi in lui.

Ebber da la natura empia e nemica, E pur non hanno odiato: Che per altri fiorir vider la spica, E non hanno rubato: Che bevver fiele e lacrime, vilmente Frustati in pieno viso Da l’ingiustizia cieca e prepotente, E pur non hanno ucciso: Che passaron fra i geli e le tempeste, In basso, ne l’oblìo, Senza sol, senza pane, senza veste, Ed han creduto in Dio: Che uno strato di paglia per dormire Infetto e miserando Ebbero, e un ospedale ove morire, E sono morti amando.

Alla terra!... alla terra!... Laceriamo Il seno e i fianchi de la Madre antica: Il tesoro dei frutti a lei strappiamo E de la gonfia spica: Vogliam nembi di rose e vogliam pane E dolci vini dal sorriso biondo!... Libera scorra la dovizia immane A rotoli pel mondo, E ovunque arrida: a la soffitta oscura, Al palagio sorgente in mezzo ai fiori: Tutti figli siam noi de la Natura, Tutti lavoratori.