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DON FLAMINIO. Dái impedimento ad un gran disegno, ché non lo possiamo metter in atto e nel felice corso della vittoria si rompe: mi distruggi in erba e in spica le giá concette e mature speranze. LECCARDO. Voi volete che i buoni bocconi, che ho mangiato in casa vostra, mi costino come il cascio a' topi quando incappano alla trappola. DON FLAMINIO. Dunque non vòi aiutarmi?

I tosatori di monete, che con tante leggi sono minacciati, e, qualunque volta incappano e sono scoperti, pagano il vile, benché non picciol loro guadagno con la vita e con l'onore, non perciò restano di praticare l'indegno esercizio, levando dagli ori, non meno che dagli argenti, quella quantitá che credono poter rapirne senza discapito del corso abusivo di quelle.

LECCARDO. Per vostra grazia, non per mio merito: ed io ne fo un dono alle Signorie Vostre come piú meritevoli di me. BIRRI. La tua gola ti ha fatto incappare. LECCARDO. I topi golosi incappano al laccio. BIRRI. Sei stato cagione che sia morta la piú degna gentildonna di questa cittá per la tua golaccia. LECCARDO. E se non lo faceva per la mia gola, per chi l'aveva io a fare?

DON FLAMINIO. Tu sai che mio zio è viceré di Salerno: scoprendosi il fatto, saprá che il tutto arai operato per mia cagione e non offenderá te per non offender me. LECCARDO. No no, la forca è fatta per i disgraziati. La giusticia è come i ragnateli: le moschette piccole com'io ci incappano e ci restano morte, i signori come voi sono gli uccelli grandi che la stracciano e portano via.