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Fra l’auree spiche, in faccia al rutilante Sole che tutta incendia la vallata, Nel solco fumicante, Su la tepida bocca ei l’ha baciata. Ride il ciel senza nube e ride il grano A la coppia rapita; Inneggia intorno al bacio schietto e sano Potentemente l’universa vita. Sanguigne olezzan le corolle schiuse Come bocche anelanti nell’amore; Sale per l’aure effuse Il canto allegro de la terra in fiore.

Ricòrdati, ricòrdati: e il tuo grido sia come uccello di selvaggio nido; come popol che irrompe a la battaglia, come fiamma che incendia la boscaglia: dica a la terra: Salvezza non v’ha se umiliata è la maternit

Una volta la girandola si incendiava al Mausoleo di Adriano, lo stesso giorno in cui s'illuminava la cupola di S. Pietro; ora invece la si incendia al Pincio, verso piazza del Popolo, sulla quale prospetta quella stupenda passeggiata. Dicono che da Castel S. Angelo l'effetto fosse migliore ed è molto probabile, perchè si poteva vedere da tutta la citt

La fede del vecchio prete aveva ancora la freschezza delle prime albe, quando lo spirito lanciandosi a volo pei nuovi cieli aperti dalla resurrezione di Cristo, aveva lungamente gridato di amore dietro il suo fantasma radioso, del quale non rimanevano sulla terra che una croce e pochi discepoli a proclamare la vittoria sulla morte. Nullameno, dopo molti secoli, l'anima umana tornava a dubitare della propria redenzione, senza trovare in stessa un altro maggiore concetto, entro cui raccogliersi nuovamente con Dio. Tutta la critica accampata ora, come nel secolo di Augusto, oltre i confini delle filosofie e delle religioni, sembrava un'altra volta pronta a retrocedere dinanzi al mistero. Se allora nessuna fola pagana poteva più essere ripetuta in un circolo di persone colte senza eccitarvi le beffe, noi pensiamo oggi con eguale sorriso agli effetti, che produrrebbe sugli abitanti di Marte un cristiano annunciando che il loro Dio, duemila anni or sono, discese a morire sulla terra per salvarvi dal peccato i discendenti del primo uomo. I cieli, che narravano la gloria Dio, ne velano adesso il segreto con una folla di mondi così immensi, che il nostro piccolo globo non vi ha più importanza di un granello di sabbia nel deserto o di un riflesso di luce sul mare. Ma il pensiero umano, sperduto col proprio pianeta nell'infinito, sente che tutto vi naviga ad una meta misteriosa, e il medesimo soffio, che incendia gli astri come fari, dirige le migrazioni delle comete, attraverso i grandi oceani di stelle, per la serenit

Leggete le ultime settanta pagine, quando si incendia il bosco per opera dell'eroe Mafarka, quando egli sradica trecento piante fortissime dalla foresta per darle alle fiamme. Non sembra più nemmeno un eroe, sembra quasi Orlando innamorato che è diventato Orlando pazzo; ha la forza di una iperbole, ha la forza di un'ubbriachezza; in fondo è un delirio, è un simbolo. L'arsione delle piante è una sfida al vento. È la gioia dell'uragano che balza verde e livido fra gli scogli della notte, la gioia di questo Gazurmah, l'aeroplano che è uomo, l'eroe che è un simbolo, il figlio che è nato dalla monogenesi. Oh! il gran sogno di fendere l'azzurro, di correre sopra gli uomini, di dimenticare le basse contese, le contumelie, le invidie, i rancori, di affermare la dignit

Ora San Domenico, sovvenuto dal Conte Simone da Monforte, scorre i contadi di Tolosa, Albi, Carcassona ed incendia Beziers; finalmente, seguendo il suo cammino, cade in potere degli Albigesi, i quali gli domandano se tema la morte: «Io temere la morterispondeva il Santo «io temere la morte per la fede, per la gloria di Cristo, e della Santa Chiesa romana? Non mi uccidete a un tratto, vi prego, ma a poco a poco mutilate ciascheduno dei miei membri, e mostrateli ai miei occhi; poi strappate anche questi, e lasciate così il mio corpo, in mille parti piagato, rotolarsi dentro il suo sangue, finchè giunga il punto della morteGli Albigesi lo lasciarono in libert

Federigo, per adempire i desiderii di Guglielmo Marchese di Monferrato, muove contro Asti e Chieri. Trovatele vuote di abitatori, la prima abbatte, la seconda incendia; poi contro Tortona. Pretesto della guerra erano le ingiurie commesse dai Tortonesi a danno di Pavia; cagione vera l'essere collegati a Milano. Troppo lunga sarebbe la narrazione, quantunque piena di lagrime, della guerra di esterminio da loro preposta al mancare di fede verso Milano. Da levante, ponente, e tramontana, duramente assediati si difesero; alla vista dei proprii concittadini prigionieri, dal barbaro nemico impiccati, non piegarono; per sessantadue giorni dalle mura i nemici respinsero; le mine fatte alla Rôcca Rubea, per via di contrammine resero vane: finalmente consumati i cibi, le acque, che andavano ad attingere fuori della citt

Essi rappresentavano inconsci l'amore nella sua espressione più pura, più divina. Vivevano, ma sembravano al di fuori della vita; si vedeva che ne ignoravano tutto, le lotte, i dolori, le colpe. Più ancora che un sogno fatto reale, erano la incarnazione d'un poema. Dei cento colori ond'è dipinta l'esistenza, essi non ne conoscevano che uno l'azzurro; dei sentimenti, ignoravano tutto fuorchè l'amore, e di questo non sentivano il fuoco che incendia, ne il veleno che rode, ma soltanto l'ambrosia celeste e la immensa luce che rischiara. Essi erano un purissimo romanzo in azione, una poesia; nessun dramma era stato tra di loro. Nel tumultuoso viavai d'una gran citt