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Balia ANASIRA commare MASTICA parasito OLIMPIA giovane TRASILOGO capitano SQUADRA suo servo LAMPRIDIO innamorato PROTODIDASCALO suo pedante GIULIO studente SENNIA vecchia madre di Olimpia TEODOSIO vecchio marito di Sennia EUGENIO suo figlio FILASTORGO vecchio padre di Lampridio LALIO paggio Capitano di birri. La scena dove si rappresenta la favola è Napoli. BALIA, ANASIRA comare.

Cosí la lasciò per parecchi giorni; pur veggendola star ritrosa, l'ha fatta esortar da parenti, da amici e da vicini ancora; al fin conoscendola ostinata, l'ha fatto intendere che tanto vuol che sia sua figlia quanto l'è ubidiente.... ANASIRA. A che s'è risoluta la poverina?

BALIA. O comare Anasira, mille buon anni, tu sei qui? ANASIRA. Mi vedi e mi domandi si ci sono. Che cosa dicevi di comedia? è forse alcuna che si recita questa sera nelle nozze di quella tua bellissima figliana che fa ragionar tutta questa cittá della sua bellezza? BALIA. Dio voglia che non ci sia altro che pianto! ANASIRA. Che cosa mi dici? e come sta Olimpia?

BALIA.... La poverina non potendo piú con ragione resistere a' contrasti della madre, ha detto de , purché si trattenghi per tre soli giorni, quali son giá finiti; e s'è inviato a dirsi al capitano che s'appresti sposarla per questa sera.... ANASIRA. Perché ha detto de ? che speranza poteva avere in pochi giorni?

BALIA. Non t'ho detto io ch'appena era di due anni quando le fu tolto? e io le ho inteso dir mille volte che se lo vedesse non lo riconoscerebbe. ANASIRA. Iddio le faccia succedere ogni cosa come desidera. Ti vo' lasciare, a dio. BALIA. Tienlo secreto, sai: tu vedi quanto importa. ANASIRA. Se non l'hai potuto tener secreto tu che t'importa, come lo posso tener secreto io che non mi si nulla?

BALIA. Chi ha gran voglia di udire ha gran voglia di ridire, e questa è cosa d'importanza piú che non pensi. ANASIRA. Teh! ti sei fidata di me delle cose dell'onor tuo ché ben sai che facesti in casa mia quando eri giovane, e or tieni tanto secrete le cose altrui. BALIA. E se tu m'hai narrate le tue vergogne, come posso sperare che tacci l'altrui?

TRASILOGO. Anasira, quella mia conoscente; e vogliono con questo inganno tormi Olimpia mia sposa. Son uscito per incontrarlo e ammazzarlo. SQUADRA. Per dirlovi, padrone, a me parea impossibile che Olimpia v'amasse mai, perché alla vista conosceva che ne stava molto aliena. TRASILOGO. O Dio, che queste feminacce del diavolo fanno poco conto d'un cor tremendo e foribondo!

Noi femine siamo troppo novelliere e larghe di natura al parlare; e fra tante meraviglie che s'odono, mai s'udí che una femina nascesse muta. ANASIRA. Or poiché è vizio di natura e siamo pur note a tutti, non ci vituperiamo noi stesse. Però comincia, su. BALIA. A te non posso dir di no: però ti priego che non ne facci parola con persona.

Ma Sennia tien gran speranza che sien vivi, ché una zingara vedendole la mano le indovinò ch'eran vivi e ben presto tornerebbono; ed ella dice che se li sogna ogni notte che vengono.... ANASIRA. Che mi curo di saper questo io?

Olimpia s'è fidata di me e non ci è altro che lo sappi, e ogni cosuccia che si scoprisse estimarebbe subito che fosse uscita da me. Taci e ascolta. ANASIRA. Taccio e ascolto. BALIA. Sai bene come i mesi adietro Olimpia dimorò in Salerno in casa di Beatrice sua zia un certo tempo.