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Aggiornato: 3 luglio 2025
Naturalmente, di quella relazione la Cecchina non ne sapeva nulla allora; ma il marito, che era un barocciaio e faceva continui trasporti di grano al mulino, aveva sposato quella giovinetta più per i soldi del babbo che per lei; tanto più che il babbo salumaio, aveva una cera da moribondo pel mal di fegato che soffriva, e non gli si sarebbero dati sei mesi di vita; i figli maschi se n'erano andati pel mondo, chi a Lecco, chi a Varese, ed uno fino a Milano; ed il barocciaio calcolava che, morto il vecchio, avrebbe fatto casa comune colla suocera, e sopratutto banco comune nella bottega.
Dopo la partenza della sarta e della modista entrarono nella stanza di Silvio; si avvicinarono al letto; la signora Emilia gli parlò dei preparativi del lutto, e gli domandò se desiderava che mandassero il suo cappello dal cappellaio, perchè vi mettesse il velo crespo. Silvio guardò la suocera cogli occhi stupiditi, poi tutto d’un tratto le voltò le spalle e proruppe in uno scoppio di pianto.
Dopo la morte del povero zio avendo fatta uscire di collegio la Giuseppina, ci siamo decisi di passare l'inverno a Milano per regolare i diversi interessi della successione. Mia suocera si rassegnò ad attenderci in Valtellina, avendo potuto ottenere che una lontana parente andasse a tenerle compagnia durante la nostra assenza.
Per questa giornata io fremeva ed impallidiva da due mesi, lavorando, ridendo, vivendo sotto l'imperio dell'idea fissa. Da due mesi ella palpitava come un uccello morente, nel disordine delle sue lettere; da due mesi, noi mentivamo atrocemente alle persone che ci erano state più care. Ogni azione, ogni pensiero, ogni speranza erano concentrate in quella giornata luminosa e ardente. Per andare, io ingannava un'altra donna, mia madre, mia sorella, i miei amici; io faceva venti ore di viaggio, io rimaneva sei giorni nell'albergo del paesello: per venire ella ingannava un uomo, ingannava suo padre, i suoi fratelli, i suoi cognati, sua suocera, i suoi servi, i suoi amici, si esponeva a viaggiar sola, bella e graziosa, per trenta ore di viaggio, in mezzo ai pericoli, venendo ad un pericolo di morte. Che importava tutto questo? Io l'amava e l'aspettava, ella veniva a me perchè m'amava. L'ultima settimana prima del giorno, era stato un turbine quello che ci aveva travolti; eppure, in tanto disordine di ogni cosa brillava netta, lucida, matematica tutta la combinazione del viaggio. Io conosceva a mente il mio itinerario ed il suo, e lo ripeteva sottovoce, come se avessi potuto dimenticarlo. Quei nomi di paesi, quelle ore ritornavano macchinalmente sulle mie labbra. Eppure una orribile paura mi accompagnava di sbagliare un treno, di non trovarmi, di perdere la testa, e due ore innanzi io era alla stazione, fingendo leggere, disinvolto, bevendo dei grandi bicchieri d'acqua per calmare la mia febbre. Chi ha viaggiato con me? Non so, guardavo in volto le persone senza vedere nulla. Sentivo nelle orecchie un rumorìo di voci, uno stridìo di ferro, squilli di campanelle, fischi, ma non comprendeva nulla. Non ho dormito mai, mai. Mi assopivo, talvolta nell'abbandono, nella stanchezza dei nervi troppo tesi, ma l'anima vegliava, un sussulto mi scuoteva. Quanti giornali ho trascorso, quanti libri ho sfogliato? Non mi ricordo. So che arrivato al paesello, dove ella doveva venire, mi son sentito stringere il cuore. Forse, non sarebbe venuta. Che ne sapeva io? Era così strano il modo come ci eravamo amati, così singolare il modo come ci amavamo! Non mi conosceva, non la conoscevo. Da un momento ad un altro, lei che non era nulla, era diventata tutto per me. Che donna era? Forse, non sarebbe venuta. Forse l'avrebbero trattenuta. Invano cercavo dominare questo senso invincibile di sgomento. Pure l'albergatore, un cortese e famigliare, uomo che non vedeva mai nessun forastiero, non si accorse di nulla; è vero, io era pallido, gli occhi miei vagavano, distratti, le mie mani avevano la febbre, ma sorridevo, scherzavo anche. Nei tre giorni avevo visitato il paesello, la sua chiesa gotica, la sua manifattura di lana sopra un fiumicello l
Molto bene, mi disse un giorno Ettore Caccianimico, hai saputo resistere a tua suocera! Ne valeva la pena, risposi. Hai notizie di Laura? Nulla, dacchè tu l'hai trovata a passeggio con Giorgio. Questo mi rendeva inquieto.
Precisamente. Ho telegrafato a Valeria che venivamo a trovarla. Ed ella ha risposto che ne era felicissima, e che sua suocera ne era felicissima, e che tutti erano felicissimi. Dunque partiamo. E subito. E staremo in Inghilterra tre mesi, sei mesi, dieci anni, finchè non ti sar
Mia suocera era accorsa ad assisterci e a farci coraggio, la Menica aiutava la Rosa, Bitto non lasciava che di rado la camera dell'ammalata, ed io avevo perduta la testa, e non servivo che d'imbarazzo.
Ella tornò al palazzo insieme con la suocera, ma invece di salire nel suo quartiere, uscì a piedi come soleva fare spesso, quando andava a visitare i poveri.
Che la sera non si possano tenere lampadi, ma candele, non meno di due, nella stanza ove si ricevono visite; e le donne per la morte dei mariti possano stare in casa soli tre mesi; e per padre e madre, figlio o figlia, nonno o nonna, suocero o suocera, genero o nuora, giorni nove; e per zii, zie e cugini carnali non possano aprir lutto in casa, ma solamente vestirlo per giorni nove.
Se noi ti rechiamo disturbo nella tua villa, continuai verso donna Teresa, prenderemo in affitto una cascina. Ma no, santo Dio! esclamò mia suocera, levando le braccia in alto. Voi siete i miei figliuoli, e vi aspetterei con tutto il piacere Ma pensate che avete annunciata la ripresa del vostro viaggio in quest'epoca.... Il rimandarlo un'altra volta, si potrebbe interpretare malamente.
Parola Del Giorno
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