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Ed esigeva sempre nuovi convegni, e ne prolungava le ore, e mi seguiva, e mi cercava, temendo che gli sfuggisse il possesso di questa donna che aveva orrore di lui. Lo lasciai, due volte: mi riprese due volte. Allora, disperata, nel colmo dell'avvilimento e della esasperazione, io tradii questo imperfetto amante, questo Nino Stresa. Ah il vile, il vile, sempre il medesimo!

Dai giorno in cui aveva riveduto nell'atrio del Grande Albergo di Stresa Folco Filippeschi, appena uscito di lutto, e s'era potuta fare amica della contessa Gioconda, la petulante Vittorina Ornavati era contentissima.

Così io mi sono innamorata di Nino Stresa. Vi pare una contraddizione? Non so. Cercherò di spiegarmi meglio, e voi noterete se vi è contraddizione. Egli m'indignava, ma mi attraeva, anche, perchè era giovane, perchè era bello, perchè, infine, a suo modo, mi amava. Ogni volta che il suo desiderio si esprimeva negli sguardi e nelle parole, io ne riceveva un sussulto di dolore e di sdegno: ma, nel medesimo tempo, quasi senza che io me ne accorgessi, una delle difese del mio cuore crollava. Gli imponevo silenzio, ma egli aveva gi

Perchè quello che voi sentite, per me, non è amore. Che cosa è, dunque? È desiderio. È la medesima cosa, replicava lui, con un'aria di perfetto candore. Ah, quando io lo udiva negare così la parte sentimentale e nobile dell'amore, quando egli calpestava, così, tutto quello che vi è di puro e di elevato, anche in una passione colpevole, Nino Stresa mi faceva ribrezzo!

Non osai mai provocarla, tanto le scene che ne seguivano mi accasciavano, dandomi una novella prova che Nino Stresa viveva e amava e soffriva solo per i nervi e per i sensi: non osavo provocarla, giacchè, dopo, io era costretta a essere più amorosa che mai, con lui; e, probabilmente, egli esagerava l'ardore di questa gelosia, per ottenerne dei compensi di passione. Detestabile amore!

Addossata a una delle colonne che sostengono l'arco nel peristilio del grande albergo di Stresa, Vittorina Ornavati rivolgeva a stessa quella domanda a proposito d'una giovanissima donna, chiusa in un ampio mantello azzurro, la quale guardava insistentemente dalla vetrata nella strada.

La prima volta in cui Nino Stresa mi mancò di rispetto, fu in un ballo. Ero vestita di broccato bianco, quella sera: e il busto del vestito era sostenuto, sulle spalle, da due fascie di brillanti che formavano manica. Egli, Nino Stresa, mi cominciò a guardare, di lontano, poco dopo la mia apparizione nel ballo: e non potei più fare un movimento per passeggiare o per ballare, senza sentire il suo sguardo fermo sovra me. Ora, Nino Stresa ha uno sguardo singolare. I suoi occhi sono semplicemente neri, senz'altro pregio. Ma lo sguardo ha una dolcezza languida e persistente che, talvolta, dopo qualche minuto di contemplazione, pare che si veli di lacrime per una profonda emozione saliente agli occhi dall'imo cuore. Sembra, quando guarda così, Nino Stresa, che tutta la sua anima si dissolva in una intima e malinconica tenerezza, assolutamente contraria alla sua apparenza di bellissimo giovane e di giovane elegantissimo. Vi sono, o pare che vi sieno, in quello sguardo tesori segreti e inesauribili di un sentimento nascosto con gelosa cura e trapelante, solo, in quella dolcezza ostinata e adombrata di lacrime. Tanto che la donna guardata così, da Nino Stresa, dimentica la soverchia, inquietante bellezza dell'uomo, e nella creatura troppo fine e sicuramente corrotta, nella creatura che porta la peggiore delle reputazioni, cioè quella della fatuit

Bevete, prima, un sorso, disse, con quella voce un po' rôca. Bevetti un sorso di quello champagne-cup, odoroso e inebriante: gli detti la coppa. Egli mise audacemente le labbra dove io le avevo messe e bevve, guardandomi. In quel momento Nino Stresa mi piacque immensamente: ma subito dopo, ne ebbi un disgusto immenso.

Per questo, era un superstizioso dell'amore. Se io lasciava un ventaglio, sovra una mensola, Nino Stresa lo prendeva, lo schiudeva, lo avvicinava al viso, continuava a tenerlo fra le mani, incapace di lasciarlo; se io perdevo un fiore dalla cintura, se mi toglievo un guanto, egli raccoglieva subito il fiore e rubava senz'altro il guanto.

Non avevo ragione io? riprese d'un tratto incamminandosi da Stresa verso la villa di Belgirate. Ecco la donna per la quale lavorava; mentre non si capisce affatto che egli pensi alla letteratura e all'arte, come supponevi tu.... Hai sempre ragione! acconsentì Celso distrattamente. Del resto, chi sa?... Quell'altro, seguilo Vittorina, è il marchese Puppi, un amico. Credevo fosse loro parente....