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Aggiornato: 12 giugno 2025


Io vengo, peregrin, perché ti sento piangere e sospirare e con lamenti esprimer non so che di acerbo e reo; tal che spesso, a sentirti, ancor da lunge mi muovo tutta dal capo alle piante, sol di pietá. Non aver dubbio o téma, per esser, come sei, qui, forastieri in terre altrui; ché sarai governato da me come tu fossi mio fratello. Non mel voglia celar.

C'è fra gli altri componimenti un sonetto che principia così: O tu in cui dritta la virtù discese Onde Venezia ebbe del mar l'impero, Certo tu pure, o pargoletto altero, Famoso andrai per memorande imprese; Mel dice il nobil tuo sembiante, il fiero Lampo degli occhi tuoi mel fa palese... . . . . . . . . . . . . . . . E ci pare che basti.

Vi priego che non l'aviate per male, ché l'amore ch'io vi porto mel fa dire e la pace ch'io vorrei vedere in casa vostra. CURZIO. Credolo. Ma vattene innanzi e fa' oprire. RUFINO. Signor . CURZIO. Certo, gran sorte è stata la mia a trovar, in tanto bisogno, questi denari. RUFINO. Tic, tic. Costui deve essere in cantina. CURZIO. Non ci deve essere in casa, neh vero? RUFINO. Io non vel so dire.

PILASTRINO. Ben ti venga, poi c'hai per me mandato perché merendi teco. CRISAULO. Ascolta, prima, quello che t'ho da dir: poi, se vorrai, potrai mangiare. PILASTRINO. Oh! Se bevessi prima, t'ascolterei pur troppo volentieri e con pazienza. CRISAULO. Orsú! Non mel far dire duo volte o tre. PILASTRINO. Di' presto quel che vuoi.

Ma, sia quel che si vuole, e' non è cosa che abbia sentita la grandine. Come io la viddi cosí fatta, fugge, sorelle, e serra l'uscio! E so che, per me, non ve tornarei sola; e, se qualcuna di voi non mel crede e voglia chiarirsene, io gli prestarò la chiave. Ma ecco Giglio.

E me lo consegnò coll'ultimo bacio, allorchè mi congedò dalla sua casa a questa. Pensate s'io mel tenga prezioso! Anzi, poichè la ventura vi guidò in buon punto, parrei troppo ardita se, avendo voi ozio, vi pregassi a farmene un poco di lettura

E poi ch'una o due volte girò il ciglio quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino, i quai d'ogni altro fur, che vi venisse, i duo più antiqui e saggi, così disse: 38 Quantunque io sappia come mal convegna a un capitano dir: non mel pensai, pur lo dirò; che quando un danno vegna da ogni discorso uman lontano assai, a quel fallir par che sia escusa degna: e qui si versa il caso mio; ch'errai a lasciar d'arme l'Africa sfornita, se da li Nubi esser dovea assalita.

Che poco mel, non paga molto tosco Gli occhi aprite di tempo chiaro e bruno Che quando luce il Sol, mi par più fosco facilmente non credete a ognuno Che più fede nel mondo non connosco Rendere l'arme de Cupido al tempio Et prender di me, non d'altri exempio

CLEMENZIA. Se io lo so, perché mel dici? Segui. LELIA. Perché, se questo non t'avesse ridetto, non potresti saper quel che segue. Avvenne che, in que' tempi, Flamminio Carandini, per esser de la parte che noi, prese stretta amicizia con mio padre; e, ogni giorno, ogni giorno, veniva in casa; e, alcuna volta, molto segretamente mi mirava, poi, sospirando, ancora abbassava gli occhi.

Tu mel dicevi: «Dio non si mostra a sua fattura acerbo, Se non perchè l'amata a lui s'elèvi». Non tutte sue fatture hann'uopo eguale Di venir da procella aspra battute, Ma tai ve n'ha che senza orrendo strale In fiacca letargìa sarian cadute. Nondimen di mia forza ancor non posso, No, glorïarmi, e spesse volte ancora Son da tristezza e da piet

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