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Aggiornato: 4 maggio 2025
Con le braccia inerti, svogliata, Marta passava la sera sulla stessa sedia dove aveva pranzato, prendendo spesso una tazza di camomilla che Appollonia le portava a forza, vedendola pallida, assicurandola che le avrebbe fatto bene. Dava qualche punto, leggicchiava il giornale, sbadigliava. Le ore erano lunghe, eterne.
Desiderosi oltremodo di salutare il decano dei poeti allora viventi, Vincenzo Monti, n'andammo a Monza col Papadopoli. Trovammo il povero vecchio adagiato, o, per dir meglio, giacente in un seggiolone. Teneva gli occhiali inforcati sul naso, e leggicchiava non so qual commedia di Goldoni.
Discutevano scherzosamente sulle gradazioni dei colori vivaci delle varie lane che Lalla adoperava per un suo lavoro che stava allora tessendo, mentre Maria, nell'angolo di una finestra, rincantucciata nella sua poltrona con uno scialle buttato sulle spalle, perchè si sentiva intorno un po' di febbretta, leggicchiava la Revue des Deux Mondes.
Era a letto, ma leggicchiava uno de' suoi libri romantici, alla luce di un doppiere, sul tavolino; e le avveniva di ripetere una stessa frase, senz'afferrarne il significato. Quando scorse Emilia varcar la soglia, stese le braccia, ed un buon sorriso le rischiarò il volto.
Pranzava nella sua stanza, sola; leggicchiava storie d'amore che non la riguardavano e versi che nessuno mai le avrebbe mormorati; canticchiava ritornelli amorosi; dipingeva all'acquerello qualche veduta di Sorrento; sempre sola. Non scriveva mai, perchè non doveva scrivere a nessuno e perchè scrivere le faceva venire l'affanno. Non cuciva nè ricamava perchè era inutile.
Era una vecchietta simpatica, vedova d'un interprete di albergo, buona come il pane, fiorentina fin nel bianco degli occhi, operosa, assestata e pulita come un'Olandese. Viveva d'una piccola rendita e di quel po' che guadagnava tenendo dozzina.[XV.2] Leggicchiava, giocava al lotto, faceva qualche visita, e passava quasi sempre la sera, sola come uno sparago, in un cantuccio della sua piccola camera ingombra di mobili vecchi, vicino a una finestra, dalla quale si vedeva, di l
L'anno seguente si maritò la Maria, ed anche lei se ne andò fuori di paese. La casa divenne silenziosa e mesta, troppo vasta, per quel vecchio infermo e quella fanciulla. Vicenzino ci tornava ogni sera: il vecchio steso in una poltrona leggicchiava un giornale o sonnecchiava. L'Elena lavorava al suo tavolino, ed il cugino sedeva dall'altro lato, in faccia a lei, come una volta. Parlavano della salute del babbo, delle sorelle lontane, di Vincenzo che stava per passare ufficiale; erano tanti affetti comuni, tanti vincoli che li legavano. Vicenzino narrava de' suoi poveri, de' suoi malati, che l'Elena prendeva molto a cuore. La vita omai pareva facile e dolce al giovane prete, confortata da quella pura affezione fraterna, e dalla calda amicizia di Vincenzo. Omai le prove erano finite, le tempeste erano cessate; qualche anno ancora, poi Vicenzino prenderebbe il posto del vecchio parroco che pensava a ritirarsi, accoglierebbe i suoi due parenti nella casa parrocchiale, e vivrebbero assolutamente in famiglia. E quando, per disgrazia, dovesse mancare il sig. Dogliani, sarebbe passato del tempo, del tempo assai. I due cugini non sarebbero più giovani, avrebbero presa l'abitudine di vivere uniti, e potrebbero continuare a vivere così, come buoni fratelli, senza pericolo. E chiss
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