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Desiderosi oltremodo di salutare il decano dei poeti allora viventi, Vincenzo Monti, n'andammo a Monza col Papadopoli. Trovammo il povero vecchio adagiato, o, per dir meglio, giacente in un seggiolone. Teneva gli occhiali inforcati sul naso, e leggicchiava non so qual commedia di Goldoni.

Ci fu introduttore in casa Manzoni il Rosmini, giovanissimo allora, ed il quale avevo conosciuto per mezzo di un assai colto e gentil veneziano, per nome Antonio Papadopoli. I Promessi Sposi erano usciti in luce pochi prima, ed io li avevo divorati con un piacere infinito, tanto più poi in quanto che m'avevo sott'occhio i luoghi, dei quali parla quel mirabile libro.

Mi sembrava di essere a Santa Lucia quando le femmine fanno le liti e ci sono li fuochi artificiali. I nostri Draken-ballon si sono spostati. Si annoiavano nella camera della Patria. Ora splendono e parlano in alto come enormi pappagalli gialli nel sole sulla finestra aperta del Piave. Piomba l'ordine di partire per le Grave di Papadopoli. In tre minuti tutto a posto, tutto in ordine.

Rimangono seri, ma ansiosissimi. Che cosa si aspetta? Sappiamo che dovremo passare il Piave alle Grave di Papadopoli. Perchè dunque rimanere vicino a Nervesa? La pioggia è cessata. Il vento il divino vento favorevole sale con sbuffi impetuosi impacchettando le nuvole e cacciandole alla rinfusa verso il mare. Vento benedetto che noi salutiamo con baci e deliziosi tremiti nella gola!