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Aggiornato: 14 giugno 2025


Il consorzio d'uomini letterati e lo scrivere intorno al moto intellettuale d'Italia ridestarono in me, in quei primi tempi di soggiorno in Inghilterra, il desiderio lungamente nudrito di crescere più sempre fama ad uno scrittore, al quale più che ad ogni altro, se eccettui l'Alfieri, l'Italia deve quanto ha di virile la sua letteratura degli ultimi sessanta anni. Parlo d'Ugo Foscolo, negletto anch'oggi affettatamente dai professori di lettere, pur maestro di tutti noi, non nelle idee mutate dai tempi, ma nel sentire degnamente e altamente dell'arte, nell'indole ritemprata dello stile e nell'affetto a quel grande nome di patria dimenticato da quanti a' suoi tempi scrivevano ed erano i più in nome di principi, d'accademie o di mecenati. Io sapeva che dei molti lavori impresi da lui nell'esilio parecchi erano stati soltanto in parte compiti, altri erano, per la morte che lo colpì povero e abbandonato, andati dispersi. Mi diedi a rintracciar gli uni e gli altri. E dopo lunghe infruttuose ricerche, trovai, oltre diverse lettere a Edgar Taylor oggi contenute pressochè tutte nell'edizione ch'io pure ajutai, di Lemonnier quanto egli aveva compito del suo lavoro sul poema di Dante, e in foglietti di prove, due terzi a un dipresso della Lettera apologetica ignota allora intieramente all'Italia. Quest'ultima scoperta fu una vera gioia per me. Quelle pagine, senza titolo o nome dell'autore, stavano cacciate alla rinfusa con altri scritti laceri, e condannati visibilmente a perire, in un angolo d'una stanzuccia del librajo Pickering. Come nessuno fra i tanti Italiani stabiliti in Londra o viaggiatori a diporto andasse in cerca di quelle carte quando tutte potevano senza alcun dubbio ricuperarsi, e toccasse a un altro esule, fra le strette egli pure della miseria, la ventura di restituirne, undici anni dopo la morte di Foscolo, parte non foss'altro al paese, è memoria fra le tante di noncuranza e d'ingratitudine, vizî frequenti nei popoli inserviliti. Ma oggi che gli Italiani millantano d'essere liberi, perchè, a espiar quell'oblìo non sorge una voce che dica: «Invece di mandar doni a principesse che nulla fanno o faranno mai pel paese, e inalzar monumenti a ministri che nocquero ad esso, ponete, in nome della riconoscenza, una pietra che ricordi chi serbò inviolata l'anima propria e la dignit

Non ostante il ripudio dell'autore, La Guerra e la Pace, Anna Karenin, e La Sonata per Kreutzer rimarranno nel patrimonio dell'arte mondiale, e faranno dimenticare che nella vecchiezza l'illustre autore preferì di essere un santo al continuare ad essere un meravigliosissimo artista.

¹ Vedere su questi personaggi due altri racconti dell'autore, o piuttosto due altri episodi di questo racconto, intitolati: Le notti degli Emigrati a Londra. Il Sorbetto della Regina. Don Gabriele avrebbe potuto bellamente fare a meno di rappresentare le sue farse con i pupi nelle piazze di Napoli e nel teatro di donna Peppa. E' provò. Il primo giorno gli parve esser felice.

Cercando questo libro ch'essa non potea trovare, scorse in vece sua un volume del Petrarca, appartenente al giovane, il cui nome vi appariva sopra scritto. Spesso ei gliene leggeva alcuni brani, e sempre con quella patetica espressione che caratterizzava i sentimenti dell'autore. Arrivarono a Perpignano subito dopo il tramonto del sole. Sant'Aubert vi trovò le lettere che aspettava da Quesnel.

Ubaldo gettò uno sguardo sul quadro, che rappresentava Desdemona in atto di ascoltare il racconto delle battaglie di Otello, lo lodò immensamente e disse che se quel quadro era riuscito così, era merito non solo dell'autore di esso, ma anche della bellezza della signorina.

L'argomento dell'Autore dice così: «Nel X Sultana prega Ottomano a lasciare l'impresa di Rodi: Aletto ritorna all'inferno, e mena squadre di diavoli per soccorrere i Turchi

Per la qual cosa lietissimi quegli riscrissono e, secondo l'usanza dell'autore, prima gli mandarono a messer Cane, e poi alla imperfetta opera gli ricongiunson, come si convenía; e in cotal maniera l'opera, in molti anni compilata, si vide finita. PERCH

Rare volte una creazione artistica era riuscita così intimamente improntata del carattere dell'autore e della razza.

E il simigliante si sforzava di fare dell'ossa dell'autore a eterna infamia e confusione della sua memoria, se a ciò non si fosse opposto un valoroso e nobile cavaliere fiorentino, il cui nome fu Pino della Tosa, il quale allora a Bologna, dove ciò si trattava, si trovò, e con lui messer Ostagio da Polenta, potente ciascuno assai nel cospetto del cardinale di sopra detto.

Uno scopo, tra i molti altri dell'autore della Marfisa, accademico granellesco sotto il nome del «Solitario», fu di prendere di mira i cattivi scrittori che in quella stagione in Venezia sviavano le menti dalla coltura, e particolarmente il Goldoni ed il Chiari, scrittori di commedie, di romanzi, di prose e di poetiche composizioni in ogni genere e metro infelicissime.

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