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Non so s'io mi debba dire «spero» o «temo» che la premessa mia giustificazione sia inutile. Nessuno si vedrá figurato negli oggetti difettosi posti nella Marfisa, e piuttosto si rileverá ne' virtuosi.

Che gran soggetto da far tanto foco diceasi pel decoro e per l'onore! Si sa che l'avol suo faceva il cuoco; suo padre di Martan fu servitore, e ch'egli fu d'Orlando lo scudiere, e non è uscito ancor di gabelliere. Finalmente Marfisa era una dama, che cominciava a far la sua famiglia. Amori o non amor, fama o non fama; che gran soggetto! che gran maraviglia!

Sopravien Sansonetto, e poi Marfisa, indi Aquilante, e seco il suo germano. 60 Del parer del padrone i marinari e tutti gli altri naviganti furo; ma Marfisa e' compagni eran contrari, che, più che l'acque, il lito avean sicuro. Via più il vedersi intorno irati i mari, che centomila spade, era lor duro. Parea lor questo e ciascun altro loco dov'arme usar potean, da temer poco.

Se non credessi offender gli scrittori che han rotto con lo scrivere ogni sbarra, e son fatti del mondo inondatori, io canterei di Marfisa bizzarra...

Rispose il prete: I'ho de' gran pensieri veder Marfisa ancor maggese starsi, e sentire i discorsi della piazza, che non fanno vantaggio a una ragazza. Disse Marfisa: Prete mio da gabbia, deh, dimmi un poco che di me si dice; e cominciava accendersi di rabbia, facendo sulle guancie la vernice.

17 Se mai d'aver veduto vi raccorda, o rapportato v'ha fama all'orecchie, come, allor che 'l collegio si discorda, e vansi in aria a far guerra le pecchie, entri fra lor la rondinella ingorda, e mangi e uccida e guastine parecchie; dovete imaginar che similmente Ruggier fosse e Marfisa in quella gente.

E' non è il diavol rispondeva il prete, ch'è il marchese Terigi quel ch'io dico; ma non posso giá far ciò che volete: Bradamante e Rugger non vo' nimico. Non è da dir se a Marfisa la sete cresce di porre iscompiglio ed intrico: basta a' parenti il nodo dispiacesse, quest'era una ragion ch'ella il volesse.

Si un dettaglio general galante di Carlo e Francia e della baronia. Move la guerra Marsilio arrogante. La bizzarra ha una fiera pulmonia: guarisce mal, ché tisicuzza resta; da pinzochera alfin caccia una vesta. Della mia penna d'oca, alme annoiate, questo è l'ultimo corso e del mio inchiostro. È Marfisa al suo fin, non dubitate; non mi chiudete il caro udito vostro.

A qualunque parola che dicea Marfisa, ei non lasciava l'«illustrissima». Le serve erano uscite dalla stanza, ché non istan piú salde a quella danza. E sghignazzavan dietro le portiere, quando sentieno «illustrissima» a dire.

Uno scopo, tra i molti altri dell'autore della Marfisa, accademico granellesco sotto il nome del «Solitario», fu di prendere di mira i cattivi scrittori che in quella stagione in Venezia sviavano le menti dalla coltura, e particolarmente il Goldoni ed il Chiari, scrittori di commedie, di romanzi, di prose e di poetiche composizioni in ogni genere e metro infelicissime.