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Aggiornato: 6 giugno 2025


Come? volete educarmi, e mi impedite di tenermi pulito e di lavarmi come si lavano tutti i cristiani! I fichi secchi ho dovuto gettarli nelle immondizie che raccogliamo nell'angolo. Li aprivo, e uscivano i bachi. Don Davide, mi fece dimenticare i fichi con un motto latino. Sursum corda. Sit gressus ad superiora; melius est ascendere. In alto i cuori.

No, perchè il condannato non deve parlare di quello che avviene nella casa di pena! Più di una volta, io e don Davide abbiamo dovuto discendere in direzione a riprenderci la lettera coll'ordine di riscriverla senza qualche frase contraria al regolamento. Per due settimane ero stato malaccio. Mi sentivo debole e non sapevo più digerire la pagnotta e la pasta del penitenziario.

Si dice, ch’egli desse ordine di scoprire tutti i superstiti della famiglia di Davide onde averli nelle mani, e colla loro morte togliere agli ebrei ogni speranza di vedersi restituita per essi la perduta indipendenza.

Mentre mi si radeva, con la guardia carceraria seduta in faccia, mi venivano le lagrime in bocca come a un bimbo sculacciato! Coraggio! diceva a ciascuno di noi il barbiere. I baffi e la barba ricresceranno più vigorosi di prima. E voi, don Davide, gli domandai qualche giorno dopo, perchè avete pianto, se non avete mai avuto baffi e se vi facevate radere il labbro superiore anche prima?

Vi avrei lasciata la vista... Chiamammo due o tre volte don Davide senza averne risposta. Credevamo che dormisse. Invece, il povero prete, entrato nel cubicolo, non seppe più reggere. Pianse dirottamente. Pianse nel silenzio soffocando i singhiozzi per non farsi sentire dai colleghi, pregando Dio di aiutarlo in un momento di tanta ambascia.

Capitale del regno sotto Davide e Salomone, del regno di Giuda dopo il distacco delle dieci tribù dalla dinastia davidica, e di tutto il lungo periodo che durò il secondo Tempio, fu Gerusalemme. Più avanti si trover

Le ore della sera erano le più tranquille. Si passava come dall'inferno al paradiso. Chiesi, Federici e don Davide il primo in mezzo e gli altri due in faccia avevano una lampada a petrolio in comune sui loro due tavoli riuniti.

La sua assenza è il suo strazio. Per liberarlo, ha messo sossopra mezzo mondo. Ha mandato una lunga epistola all'episcopato italiano ha scritto al presidente dei ministri e ha fatto bussare, a insaputa del fratello, fino alle porte reali. In mezzo a noi, don Davide, non ha mai fatto sentire il prete.

È avvenuto quello che doveva avvenire. Coi continui arresti non sappiamo più dove mettere gli arrestati. Ieri eravamo 1048. Il numero eccessivo ha obbligato il direttore a ficcarne, parecchi, tre per cella, coi pagliericci in terra. Fortuna che non fa troppo caldo. L'ultimo pesce grosso che registrai fu don Davide Albertario. È alto, dalle forme erculee.

Rimanemmo per qualche minuto sbalorditi. Io mi trovavo in una cella di mezzo, tra Romussi e don Davide Albertario. Chiesi era in faccia al direttore del Secolo e io potevo vederlo, attraverso la ferriata, di profilo. L'avvocato Federici era in una delle prime celle della fila a destra e gli altri, compresi due che non conoscevo, erano sparsi nelle celle in fondo.

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