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Tra la folla degli avvocati accorsi a dare l'ultimo addio ai condannati, si distingueva il Majno che camminava con l'ombrello in una mano e il cappello nell'altra, salutando dappertutto: «Addio, Chiesi, ciao, Federici, coraggio, Romussi, sta allegro, Valera, arrivederci presto, don Davide, eccNei suoi addii era lo strazio di un avvocato e di un amico reso impotente dalla legge marziale.

Perchè, malgrado la gentilezza e la squisitezza d'animo, il Federici, era il compagno più difficile della camerata. Non si sapeva mai da che parte pigliarlo.

Costantino Lazzari era uscito dalle mani del parrucchiere una edizione peggiorata. L'avvocato Federici si era trasformato in un santocchione che sginocchia pelle chiese. Ghiglione era ritornato in mezzo a noi come un uccello di rapina. Il suo naso lungo si era prolungato e la punta appariva più adunca di prima.

Accompagnati da molti carabinieri, si fecero passare in mezzo a due file di soldati e salire per le scale anguste, al primo e al secondo piano, disperdendoli per gli stanzoni anticamente occupati dalla Corte degli Sforza. Lungo la ringhiera del primo piano, avevano messo Chiesi, Seneci, Cermenati, Federici, Valera, Lallici, Ghiglioni, Romussi.

La direzione dell'assedio fu affidata al Duca di Genova, il quale aveva sotto i suoi ordini il generale Chiodo del Genio e il generale Rossi dell'artiglieria; ai lavori d'assedio e a cingere la piazza furono destinate le brigate Piemonte e Pinerolo con Federici generale di divisione, Bes e Manno brigadieri.

Non eravamo mai stati così bene. Prima che suonasse il campanello della partenza, un signore ottenne il permesso di salire sul predellino a stringere la mano a Federici. Faccia buon viaggio. Grazie. Il signore era commosso. Federici con le mani legate non aveva potuto stringergliela come avrebbe voluto. Partenza! Il maresciallo ci salutò con un gesto della mano.

Son tre giorni che mi brucia lo stomaco e non la mangio più con lo stesso piacere. Mi danno 100 grammi di bue in umido per quattordici centesimi. Ma è necessario uno stomaco foderato di rame per trangugiarlo. A me ha provocato la nausea. «Ho notato che Federici verso gli ultimi del mese diventa più cupo. Pare che incominci a pensare al suo colloquio.

Son stato chiamato dal capo, il quale era incaricato dal direttore di farmi sapere che il cioccolatte non è nel regolamento. Al Federici venne dato perchè era giunto come pacco postale e a sua insaputa. Se giungesse anche a me, a mia insaputa, si potrebbe fare lo stesso. «Ci sono state annunciate delle cassette, di biscotti. Sarebbero stati provvidenziali. Li abbiamo aspettati per due giorni.

Io e Federici ritorniamo a Finalborgo. La «catena» era composta di noi due. Il vagone cellulare era nuovo e non puzzava di biacca. Le celle erano assai più comode delle altre del primo viaggio. I carabinieri non sembravano cattivi diavoli. I ferri erano noiosi, ma non ci pigiavano i polsi come le altre volte.

La direzione ci ha fatto comunicare che potevamo rimandarli a chi ce li aveva spediti o regalarli all'ospedale di Finalborgo. Non potendo mangiarli noi, abbiamo votato per gli ammalati. «Federici, ci tiene in piedi col suo cioccolatte. Non appena ci si porta la pagnotta, egli va da tutti con una tavoletta e li costringe ad accettarla.