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Mentre i perpetui e gli a tempo con la catena, non sono ricordati neppure dai parenti. Chi ha vergogna di loro e chi li dimentica come individui morti. E se ne dessimo una fetta a tutti loro? C'è questo del Mascarini, offelliere di Milano, mandato a don Davide. È grosso come un cetaceo. Federici non si fece ripetere l'interrogazione.

Romussi: Mi pare di essere in un antro. È possibile che ci si facciano passare degli anni in questo buco? Federici lo tranquillava assicurandolo che la segregazione personale non poteva durare più di un sesto della pena. Romussi: Saccorotto! Ci dici poco a vivere in questa tana per sette od otto mesi? Ho tentato di leggere col libro alla ferriata, ma ho dovuto smettere.

Ho notato una certa sonnolenza anche negli altri. Più di una volta ho veduto Federici fermarsi sulla pagina, coi gomiti sul tavolo e la faccia nelle palme. Alle undici antimeridiane d'ieri ho sorpreso don Davide che dormigliava sul breviario. Anche Lazzari subisce la stessa legge di prostrazione. Rimane assopito per delle ore. Forse è perchè egli legge troppo di notte.

Passavano da un abbraccio all'altro commossi della commozione altrui. Toccava ai condannati far coraggio ai visitatori! Il Turati risaliva qualche volta sfatto. È un supplizio. A momenti, mi facevano piangere! Romussi, più di una volta, entrava nel cellone colle lagrime negli occhi. Federici rientrava e si metteva a passeggiare colle mani imbracciate.

Io lo vedo ancora passarci in rivista col cappello calcato in testa, col bavero del paltò alzato e con le mani in tasca. Col suo sguardo truce e la sua voce da terrorizzatore, non mi invogliava a vederlo, tra noi, per un pezzo. Noi poi, escluso sempre il Chiesi, non avevamo ragione di essergli riconoscenti. A Federici aveva negato parecchie cose che lo avevano fatto imbestialire più di una volta.

Nella direzione si trovavano Chiesi e Federici in redazione Ulisse Cermenati e l'avvocato Valentini, il quale, come sai, scriveva, in quei giorni, degli articoli finanziarii. Il Seneci era dabbasso in tipografia che lasciava andare a casa gli operai, raccomandando loro di ritornare per l'edizione di notte.

Le ore della sera erano le più tranquille. Si passava come dall'inferno al paradiso. Chiesi, Federici e don Davide il primo in mezzo e gli altri due in faccia avevano una lampada a petrolio in comune sui loro due tavoli riuniti.

In letto, con una coperta che non lo copriva completamente da una parte dall'altra, sembrava un enorme cetaceo a mezz'acqua. Si voltava faticosamente come un pachidermo. Federici si metteva sul fianco, con un libro in mano, in una posizione da ricevere la luce sulle pagine e continuava la lettura per un'altra mezz'ora. Poi mi diceva: Ciao, Paolino, dormi bene. Ciao.

Andammo uno dietro l'altro dal barbitonsore, senza dirci una parola. Ciascuno di noi sembrava compreso del sacrificio, tranne forse Gustavo Chiesi, il quale conservò sempre l'attitudine dello stoico. Sotto il rasoio a più d'uno di noi si riempirono gli occhi. Federici e don Davide furono del numero. Non si aveva paura, nessuno pensava alla paura, ma l'emozione, più forte di tutti, rompeva la diga.

Federici è stato buono anche questa volta. Mi ha dato un cucchiaio di magnesia effervescente. L'ho bevuta col piacere che da lo champagne. Ho respirato più liberamente. «Ghiglione è andato dal medico. Non ci ha detto nulla. È egli ammalato? Non è ammalato? «Vi sono andato anch'io, ma solo per domandargli il permesso di un bagno. Io mi immergo sempre con piacere nell'acqua.