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Aggiornato: 7 giugno 2025
De Andreis era di opinione che avrebbero montata qualche macchina per tenerci in prigione. Federici fumava disperatamente una sigaretta dopo l'altra per cambiare l'odore dell'ambiente. Chiesi si contentò di dire che avrebbe pagato il conto. Un po' più tardi Seneci ci faceva sapere che non aveva mai dormito così bene.
Il Chiesi, che non sa leggere in letto perchè gli si chiudono subito gli occhi, in Castello aveva dei momenti di disperazione perchè non gli si concedeva il riposo notturno. Ulisse Cermenati, che sa stare ritto sulle gambe, andava al processo dinoccolato e pieno di sonno, e Federici raccontava agli amici che accendeva, spengeva e riaccendeva il lume con dei tentativi di passare la notte leggendo.
Io, De Andreis, Romussi e Federici passavamo parte della giornata con lui. Nessuno di noi poteva adagiarsi sul suo letto a pagamento, senza che venissero alla superficie filate di queste schifose bestioline che fanno pancia col vostro sangue. Mi diceva Turati che di notte sciupava il tempo con questi puzzolentissimi insetti che non lo lasciavano dormire.
Il caffè era squisito. Era stato fatto dalla mano maestra del Federici che non lo beveva. Don Davide prese la chicchera senza ricordarsi dell'ordine che aveva dato. Il moka ci lasciò immusoniti più di prima. Andammo all'aria come a un funerale. Nel cortile eravamo sbandati. Ciascuno passeggiava per proprio conto. Pareva che l'uno non volesse avere contatto con l'altro.
Chiesi pensava alla sua mamma, Federici alla sua signora e alla sua bimba che spasimava di vedere, don Davide alla sua Teresa, la sorella che lo idolatra e Suzzani a sua madre che nominava sovente. Potevamo star su fino alle dieci. Alle otto eravamo tutti a letto. Chiesi russava maialescamente da dieci minuti. Gustavo Chiesi. Gustavo Chiesi è uscito dalle pagine di Mazzini.
Rimanemmo per qualche minuto sbalorditi. Io mi trovavo in una cella di mezzo, tra Romussi e don Davide Albertario. Chiesi era in faccia al direttore del Secolo e io potevo vederlo, attraverso la ferriata, di profilo. L'avvocato Federici era in una delle prime celle della fila a destra e gli altri, compresi due che non conoscevo, erano sparsi nelle celle in fondo.
Alla stazione centrale si fecero prima uscire De Andreis e Romussi. Quando discesero dal predellino della vettura Valera e Federici, gli altri due erano scomparsi. Turati lo si fece partire per Pallanza mezz'ora dopo, in un omnibus piccolo, che lo aspettava nello stesso cortile. Egli si era portato via il materiale per scrivere un libro sul socialismo italiano.
Chiusi nelle due celle in fondo, l'una in faccia all'altra, vicini alla finestra del vagone, non mancavamo di qualche boccata d'aria. Ricordandomi dei due viaggi, mi dicevo contento. Almeno qui, non si crepa. Mi misi in bocca una sigaretta con un po' di fatica e con un po' di fatica riuscii ad accendermi Io zolfanello. Federici attraversava la tempesta.
«Ho comunicato a Federici i miei timori. Ho paura di uscire idiota. Ci sono dei momenti in cui sono obbligato a mettermi la mano sulla testa per paura che mi scappi il pensiero. Egli mi disse che è dovuto alla mia cocciutaggine di non voler mangiare abbastanza. In carcere bisogna essere alliatrofago. Inghiottire ogni cosa, anche se ributtante. Con trentacinque centesimi non si può vivere.
Tra gli arrestati c'erano il deputato De Andreis, il direttore dell'Italia del Popolo, l'avvocato Romussi, direttore del Secolo, l'avvocato Federici, Valentini, ex direttore della Sera, Ulisse Cermenati dell'Italia del Popolo e il professore Gilardi del Secolo. Lunedì ho registrato gli onorevoli Turati e Bissolati e la dottora Anna Kuliscioff.
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