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Fra le altre miserie Fausto non conosceva il nome della Contessa. Doveva mettere dei puntolini al posto del nome, nel suo sogno d'amore. Ma pazienza; purchè quel sogno si avverasse era anche disposto a chiamarla Contessa per l'ultima volta. Aspettò quella sera commosso, felice, impaziente. Ci andò troppo presto; ma doveva essere un altro disinganno.

Gustavo Aldini si pentì di questa sentenza assoluta, e mentalmente ne chiese perdono alla Valeria che gli aveva sempre voluto bene, che ne aveva voluto molto anche a lei, ed era impaziente di potere, in faccia a tutti, chiamarla sorella.... Povera Valeria!... In mezzo a quante tristezze le toccava vivere!

Voleva dirle, come sempre, alcune di quelle parole con cui solea vezzeggiarla: angiolo mio; mia bellezza, figliuolina cara.... arrivava sino a chiamarla così, inconsapevole; ma si ritrasse subito al veder Diana pallida e vacillante. Anche Adolfo si era subito alzato.

Io non narrerò tutte le parole dell'osceno chercuto perchè mi repugnano, dirò soltanto ch'egli, credendo inutile ogni sua persuasione, si decise per la violenza, e chiamò a l'ausiliaria sua complice. Egli uscì per chiamarla, ma la vecchia era li fuori della porta, e poche parole di concerto bastarono per il piano infernale d'attacco.

Ma ohimè, se Fiordalisa, era bella, non era altrimenti lieta. Messer Luca osservò che la sua nuora futura, anzi, la sua cara figliuola, poichè oramai poteva anch'egli chiamarla così, portava sul volto le traccie d'un interno rammarico. Luca mio, gli disse mastro Jacopo, traendolo in disparte, che volete? Son donne e ci hanno le loro piccole superstizioni.

Da quell'istante incominciò la mia lotta. Io non poteva tollerare che essa portasse un U nel suo nome, non poteva chiamarla con quella parola. Mia moglie!... la mia compagna, la donna amata da me.... portare un U nel suo nome!... Essa che aveva gi

Ah! esclamò, voi pensaste dunque di potermi offendere impunemente? Mi credeste vostro schiavo, vostro trastullo? Non mi conoscete ancora?... Vi pentirete, signora, di quanto avete fatto: ve ne do la mia parola!... Mai! rispose donna Livia con voce sicura; mai mi pentirò di un'azione giusta. Un'azione giusta!... Osate chiamarla tale in faccia mia?...

Ella gli sorrideva, così, naturalmente, quasi che il suo destino, nella vita, fosse di sorridergli sempre; e l'ingenuo, giovanile fascino del sorriso rammentava a lui altri tempi, altre cose, vagamente, dandogli un infinito e indefinito sentimento di tenerezza. Allora, sottovoce, egli provò il bisogno di chiamarla: Luisa. Che dite? rispose ella, piegandosi per udir meglio. Niente.

E le mani di lei non si disgiungevano; le baciavo la bocca, gli occhi, i capelli, le spalle, il petto; caro amore, non avrebbe potuto avere più baci da me se fosse stata piena di vita. Se un sobbalzo del treno le faceva muovere il capo o i piedi, ridevo, fra i singhiozzi, di speranza e di gioia. Ma il suo povero viso diventava freddo, solenne; non gridai più, non feci che chiamarla teneramente.