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mai qua giù dove si monta e cala naturalmente, fu ratto moto ch’agguagliar si potesse a la mia ala. S’io torni mai, lettore, a quel divoto trïunfo per lo quale io piango spesso le mie peccata e ’l petto mi percuoto, tu non avresti in tanto tratto e messo nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno che segue il Tauro e fui dentro da esso.

Per entro l’etterna margarita ne ricevette, com’ acqua recepe raggio di luce permanendo unita. S’io era corpo, e qui non si concepe com’ una dimensione altra patio, ch’esser convien se corpo in corpo repe, accender ne dovria più il disio di veder quella essenza in che si vede come nostra natura e Dio s’unio.

e a quel mezzo, con le penne sparte, vid’ io più di mille angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e d’arte. Vidi a lor giochi quivi e a lor canti ridere una bellezza, che letizia era ne li occhi a tutti li altri santi; e s’io avessi in dir tanta divizia quanta ad imaginar, non ardirei lo minimo tentar di sua delizia.

«O anima che tanto ben favelle, dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola tu queste degne lode rinovelle. Non fia sanza mercé la tua parola, s’io ritorno a compiér lo cammin corto di quella vita ch’al termine vola». Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto ch’io attenda di l

Lasciai le passïoni, che con succhio di tentacoli, ingorde, irte, contratte, vuotavano le mie vene scarlatte per gettarmi dei morti al sozzo mucchio: ma mi seguono esse, in false vesti, guardinghe, pronte per colpirmi al fianco, s’io vacilli, s’io dubiti, se stanco il capo in pianto io curvi, o il piede arresti.

Parev’ a me che nube ne coprisse lucida, spessa, solida e pulita, quasi adamante che lo sol ferisse. Per entro l’etterna margarita ne ricevette, com’ acqua recepe raggio di luce permanendo unita. S’io era corpo, e qui non si concepe com’ una dimensione altra patio, ch’esser convien se corpo in corpo repe,

Sotto altri cieli io vissi, in altra forma, con altro cuore. Fiammule e baleni d’allora, erranti lucciole tra’ fieni, risfavillano in me, s’io vegli o dorma. Io so chi fui, nel tempo gi

Ma s’io vedessi qui l’anima trista di Guido o d’Alessandro o di lor frate, per Fonte Branda non darei la vista. Dentro c’è l’una gi

Tale, s’io l’ho ben veduta, è Lauretta. Elisa⁸⁶, anzi acerbetta che no,

Quando in Bologna un Fabbro si ralligna? quando in Faenza un Bernardin di Fosco, verga gentil di picciola gramigna? Non ti maravigliar s’io piango, Tosco, quando rimembro, con Guido da Prata, Ugolin d’Azzo che vivette nosco, le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi che ne ’nvogliava amore e cortesia l