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Chi l'avria mai creduto che, a questo modo, in fine a Pilastrino, sol per aver danar, divenga avaro? Oh! Va' pur . Filocrate viene a tre ore, accompagnato, per parlare a Lúcia, la quale li dice, per consiglio di Fronesia, una gran villania; ed egli, per il non sperato tradimento, divien furioso.

Volgetevi poi a le parti de l'anima; e vedrete, con ragioni e per pruova, essere eterna fatta da Dio sol perché fosse erede del ben suo eterno. PILASTRINO. Ecco! Ve' un nuovo pazzo! FILENO. Da poi che 'l mondo fu, fu pien di matti, da que' duo primi matti. Or tutti quanti par che d'ogni paese piovin qui per influsso di cieli. PILASTRINO. Quanta gente li corre dietro!

Ma promettimi, prima, non dire altro che cosa onesta. CRISAULO. Hai in me poca fede? CALONIDE. Orsú! Entra in casa. Timaro va a dimandar Pilastrino a casa sua per farlo venir da Crisaulo; e lo truova dormendo ed, a la fine, lo mena. E Crisaulo li ordina che debbi render la robba sua a Girifalco: il che egli, per non poter fare altro, dopo alcune contese, pur si dispuone a fare. TIMARO. Olá!

È forse dodici anni che sono in questa casa e ti giuro che non ne ho visto mai per la metá. Dimmi, di grazia. PILASTRINO. Non è tempo, adesso. Fa' d'aver cura a questo, che stasera ogni cosa sia cotto. ORGILLA. Oh! S'io gli cuoco, ch'io caschi morta, se prima non dici la cosa come sta. PILASTRINO. Tu vuoi ch'io 'l dica? In casa s'ha da fare un par di nozze. Bastiti questo. ORGILLA. Seheh!

Ma guardo pure e non ci veggio alcuno. Quel non è Girifalco? Orsú! Mi voglio apparecchiare a una magra cena. Girifalco da ben, Dio ti contenti. Ti son pur servitor: ma sei un cert'uomo che non mi degni; o che tu m'abbia in odio, non so perché. GIRIFALCO. T'ho in luogo di fratello. PILASTRINO. Toccala qui. Vo' che istasera facci una bontá: che venga a cenar meco, se mi vuoi ben.

PILASTRINO. Prima, non è mai stato al mondo alcuno verso l'amata sua forte acceso quanto son io: perché, se è il lor d'un mese, d'un anno o dieci, io giá son quaranta anni che lo portai del corpo di mia madre; perché nacqui con esso e i nostri antichi tutti, in millanta gradi, sono stati perduti in questo. ARTEMONA. Questo omai si sa.

Pensa se è bello! GIRIFALCO. Tu non di' da vero. E come 'l sai? PILASTRINO. Ti voglio dir la cosa. Passava ier da casa di Calonide. Ed erano ivi aspettarlo a la porta duo servi o tre. E mi fermai con loro, alquanto, a ragionare; e intesi questo con mille altre grandezze che di nuovo fa per colei. GIRIFALCO. Oimè! che mala nuova è quella che mi porti, sciagurato!

Artemona, cercando Crisaulo, si incontra in Pilastrino rivestito de' panni del vecchio scorciati e rifatti; e li dimanda di Crisaulo. E, non avendo da lui risposta a proposito, lo lascia; e, trovato Crisaulo, li per consiglio che dia parole a la madre di Lúcia di sposar la figliuola. ARTEMONA. Io non so omai piú dove cercar quest'uomo. Sará andato in villa. Quel non è Pilastrin?

Questi sono gli onor? Vo' che tu impari per l'altre volte. TIMARO. Oimei, padron! Son morto. CRISAULO. Ti vo' spezzar quella testa balorda. Chi te l'avea commesso? TIMARO. Oh gramo a me! CRISAULO. S'io vi ritorno... TIMARO. Oimei, che ho rotto gli ossi! Morrò in duo . PILASTRINO. Oh! co! Non piú, Crisaulo. Oh! co! Crepo di rise.

Quell'uomo pareva un pilastrino di rinforzo al muro, anzi un collega dei due robusti Telamoni incaricati di reggere l'architrave del portone.