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GIRIFALCO vecchio, PILASTRINO parasito, ORGILLA fante. GIRIFALCO. Va' sempre stenta! Caca gli occhi e 'l sangue in gioventú per non esser mendico quand'altri è vecchio! Or vedi come, al fine, tutto è niente; ché qui mai non puote l'anima aver riposo in fin che dura con la carne congiunta. PILASTRINO. Oh bel dettato!

Tra voi gridate e menate le mani, pur ch'io panebri. ORGILLA. Tu tirerai in fallo, Pilastrin, questa volta, ché la carne rimasta è in beccaria. Che vuoi ch'io cuoca? le miei mutande? PILASTRINO. Giá denno essere arse, se l'hai portate un , ché 'l vostro fuoco non cuoce o scalda. GIRIFALCO. Pilastrin mio caro, tu vedi.

Mi morrei se, un tratto, non gli pesto a mio modo quel mostaccio. Mettiam pur fuor la frasca. PILASTRINO. Orsú, madonna! Bisogna che abbi compassione un poco al messere ancor tu, poi che tu vedi come sta il poverin. ORGILLA. La mala pasqua, e presso che non dissi, che vi venga a tutt'e dui! Forse che non s'arrabbia per casa, poi, di questa massarizia e non rugnisce?

GIRIFALCO. Deh! non ti partire. E dove, Pilastrino? Una parola odi, se vuoi. PILASTRINO. Non giá da quello orecchio. Di': che ti manca? GIRIFALCO. Cávali la cappa. Non odi, Orgilla? Vo' che desni meco, se non ti è grave. ORGILLA. Or che se l'ha cavata, il briacon, mio danno, se ogni mese non ci torna a veder. Parti governo, questo, di casa?

Saria manco male se spendesse o comprasse della robba, poi che vuol fare il grande. PILASTRINO. Oh! Di' ben forte che non v'è da mangiar; ma intanto cuoci quello che c'è. ORGILLA. Vien qua, vecchio insensato. Tu sai pur che costui non mangia rape cotte giá di tre di pan cotto minestra, come farai tu stamane; bee meschiati. PILASTRINO. Io mi turo gli orecchi.

Mi parve pur veder non so chi; ed or si fugge; e sento in qua romore. Qualche quistione è nata. Meglio è ch'io ritorni in dietro, che non ritrovassi quel che non vo cercando. Pilastrino porta a Orgilla da cena abbondantissimamente e commette che ordini per la sera; e, volendo ella saper la cagion di ciò, si parte.

Ed ella chiama Eparo lavoratore ivi a caso per farsi aiutare: il che dimostra l'avarizia di Girifalco che non teneva famigli. PILASTRINO, ORGILLA, EPARO villano. PILASTRINO. Orgilla! o Orgilla! ORGILLA. E che vuoi, Pilastrin? PILASTRINO. To' questa robba. Non morrem giá di fame. ORGILLA. Oh! Oh! Puon mente. Ve' quanta robba! Oimè! Mi faccio il segno. Che vòl dir questo?

ORGILLA. E tu vai, Pilastrino? Che m'hai promesso? PILASTRINO. Nulla. ORGILLA. Ah sciagurato! Tornaci pure a cena. O vecchio matto, dove hai lasciato andare il tuo cervello? dove è 'l tuo senno? Ho visto cento pazzi da incatenar che non farian mai quello che fai or tu in vecchiezza. Ma Dio voglia che non sia qualche tratto di costoro di mala sorte. Eparo! o Eparo! EPARO. Ben?

È forse dodici anni che sono in questa casa e ti giuro che non ne ho visto mai per la metá. Dimmi, di grazia. PILASTRINO. Non è tempo, adesso. Fa' d'aver cura a questo, che stasera ogni cosa sia cotto. ORGILLA. Oh! S'io gli cuoco, ch'io caschi morta, se prima non dici la cosa come sta. PILASTRINO. Tu vuoi ch'io 'l dica? In casa s'ha da fare un par di nozze. Bastiti questo. ORGILLA. Seheh!

Diamo una volta in piazza. GIRIFALCO. Io non potrei, maestro, ringraziarti a la metá di quel che... LISTAGIRO. Lascia andare or le parole. Ringrazia il cielo che ci ha fatti degni di tanta sua virtú. PILASTRINO. Studia la cena. GIRIFALCO. Non furia, Pilastrino, perché Orgilla mal può sola conciar tante vivande quanto comprasti.